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di Andrea Checconi Sbaraglini


Ma guarda qui, una vita che giro, che viaggio, ma una cosa del genere proprio non mi era mai capitata! No, non ho paura, anche se so che dovrei averne. Se devo farti capire cosa sto provando, direi che sono stupito. Ma paura proprio no. Anzi, sono tranquillo. Strano vero?

Ti dicevo, di viaggi ne ho fatti tanti, le strade sono la mia casa. Era una predisposizione: quando con mamma, papà e Pietro si partiva per la Sicilia – ero solo un bambino – l’eccitazione iniziava qualche giorno prima. Quella volta ho preteso di prepararmi i bagagli da solo e mamma me lo ha lasciato fare, salvo poi mettere nella sua borsa tutto ciò che un bambino dimentica. Io nella mia valigetta rigida ho inserito tutto il mio mondo estivo, quello che credevo importante per la permanenza dai nonni: vestiti, i giochi del Gameboy, il coltellino svizzero con la bussola, dentifricio e spazzolino. “Il pallone da calcio non ci sta. Neanche in macchina” - disse papà - promettendomi che me ne avrebbe preso uno di nuovo all’arrivo. Da bambini il futuro è a breve termine e in quei momenti ero più eccitato per il viaggio che per la permanenza estiva dai nonni. Come dicevo, quella del viaggio era una predisposizione che avevo già in tenera età.

Io non so perché mi vengono in mente questi ricordi proprio adesso, incollato al sedile a surfare su quest’onda d’asfalto, mentre i miei occhi si distraggono con le ragnatele di rigagnoli che formano le gocce fitte del temporale. Loro ancora cadono imperterrite sul parabrezza. Oramai mute, sovrastate da questo rumore assordante.

Di chilometri ne avevo già macinati tanti in vita mia, quando un giorno ebbi l’opportunità di farli per lavoro. Insomma, mi pagavano pure! Per fare la cosa che a me piaceva di più.

L’ho pensata tante volte questa cosa. Sì, il fatto che sono fortunato insomma.

All’inizio con un vecchio Fiorino Panorama bianco, un classico. Un “mille e sette” diesel aspirato del ’96. Ne ho fatte di strade con lui. Era della ditta ma eravamo diventati amici, ci volevamo bene io e lui. Quando cambiai lavoro mi dispiacque solo una cosa: togliere la chiave dal mio portachiavi con il “46” di Valentino e doverlo riconsegnare, parcheggiandolo nel cortile.

Da quanto tempo non ripensavo al mio Fiorino... Chissà, forse in fondo mi è tornato in mente perché in questo momento lo vorrei con me. Sarebbe la cosa più giusta e so che se mai avesse un’anima, sarebbe contento anche lui.

Ora viaggio comodo, questo sedile è ammortizzato e francamente partire da Torino e girare in lungo e in largo dalla Svizzera all’alto Lazio è più rilassante e sicuro farlo così, a bordo del Vivaro: navigatore con schermo touch e assistenza alla guida.

“Sicuro”..., adesso mi viene anche da ridere, pensa te...

Con Francesca domenica scorsa abbiamo finalmente affrontato l’argomento. Non è stato facile: lei è uscita da poco da una depressione durata anni per via di quel bastardo del suo ex, che se lo vedo, lo tiro sotto da quanto male le ha fatto. Io sono semplicemente un uomo, e sì sa, sono un po’ codardo come tutti quelli della mia specie. Ho paura di tutto ciò che è futuro, di sbagliare. Ma ci amiamo e non cerchiamo altro. Sì, l’hai capito: abbiamo deciso di sposarci! Forse a giugno, vediamo col lavoro. Oh, ma siamo già d’accordo, sia chiaro: una cosa semplice con pochi parenti e gli amici di sempre. L’appartamento dove andremo ad abitare è bello, è dei suoi: un anticipo che ho già da parte e il resto mese per mese, come fosse un mutuo senza interessi. Dai, me lo posso permettere.

Ti dicevo delle paure degli uomini. Dobbiamo mostrare a noi stessi - prima che agli altri - di essere forti, duri, ma poi ci blocchiamo davanti al minimo dubbio. Abbiamo paura di tutto, di sposarci ma anche di restare soli. “Perché restare soli fa male anche ai duri, loro non lo dicono ma piangono contro i muri” diceva Vasco. C’ha sempre ragione il Blasco!

Sono così tranquillo..., e io non lo so proprio il perché. Tutto questo non ha senso ed è meglio così.

In questo momento mi viene da preoccuparmi per la merce dietro al cassone - so che è assurdo - ma penso che sia una fortuna averne già consegnata buona parte. Mi sforzo: ci sono ben altre cose a cui pensare adesso, cose più importanti. Ma non posso farci niente, è la mente che viaggia, che gira. E stavolta anche il mio corpo l’accompagna.

Già, lei ha sempre viaggiato con me: io per le mie strade, lei per le sue. Alle volte parallele a quelle d’asfalto che percorrevo ogni giorno dal lunedì al venerdì, con un inizio ed una meta finale. Altre volte le sue erano più indefinite e affascinanti, in cui era il viaggio stesso il protagonista e la meta sconosciuta. E in fondo lo so che è proprio questo l’aspetto che mi piace di più del mio lavoro. Un lavoro che mi da la possibilità di viaggiare con il corpo e con la mente, mentre Vasco canta in sottofondo. Stando sempre ben attento alla strada, s’intende. E credimi, non c’è niente di meglio, non chiedo niente di più.

So che dovrei pensare a cose più importanti adesso, continuo a ripetermi. Invece sto osservando l’evoluzione nell’aria della lattina di Coca-Cola all’interno dell’abitacolo. Il liquido che ne esce sta formando un cerchio bellissimo, perfetto, proprio in questo momento.

Vorrei poter dire a Francesca quanto l’amo. A mamma e papà che non ho avuto paura, a Pietro che cerchi sempre un po’ di felicità, in ogni attimo della sua vita.

Vorrei che domani tornasse il sole, perché alla fine il sole torna sempre e un ferragosto senza sole non può essere un vero ferragosto.

Forse vorrei tante altre cose, ma ora è tempo di salutarti. Il mio viaggio per oggi finisce. Domani è un altro giorno, c’è un mondo intero che va avanti, anche se io - adesso - mi fermo qui.

Ah, a proposito, io mi chiamo Alberto, sono le 11.36 della vigilia di ferragosto. Dal ponte Morandi di Genova - per ora - è tutto.