Non è vita

di Anna Chiereghin


Ne ho abbastanza.

Ne ho abbastanza di non essere capita.

Ne ho abbastanza di tutti: dei miei professori, dei miei genitori e dei miei amici.

Ne ho abbastanza del modo in cui mi parlano, o non mi parlano.

Ne ho abbastanza di essere una fra tante.

Ne ho abbastanza.

Camminando per il parco sotto casa immersa in questi pensieri e nella pioggerellina fastidiosa di metà novembre, raggiunsi una panchina e mi ci accasciai sopra. “Giornata di merda anche per te?”, la voce di una ragazza mi colse di sorpresa assieme a una zaffata nauseante di Camel Blu, mentre fissavo il cielo che piangeva. Non mi ero nemmeno accorta che qualcuno si fosse seduto accanto a me da quanto ero triste e sconfortata. “Già” risposi. “Ti ignorano, ti sottovalutano e non capiscono, vero?” Le sue parole mi colpirono come una folata di vento la domenica mattina quando mia madre apre le finestre. Mi girai di scatto, di fianco a me sedeva una ragazza dai lunghi capelli biondi, probabilmente tinti, vestita con un lungo e pesante cappotto, leggins attillati e scarpe con il tacco, il tutto rigorosamente nero, tranne che per un cappello grigio che le copriva la fronte. Il suo viso era di carnagione chiara e un po’ magro, ben nascosto da un trucco curato, stava seduta rannicchiata tremante per il freddo, nonostante il clima mite e in questo modo la sua figura sembrava ancora più gracile di quanto non fosse. “Ti chiedi come faccia a saperlo? Avevo i tuoi stessi occhi fino a qualche tempo fa: i miei genitori non mi capivano, i miei amici pensavano solo a sé e i miei insegnanti non si comportavano meglio, però ho deciso di riscattarmi.” Era come ascoltare la parte più nascosta e oscura di me stessa: anche se l’avevo appena incontrata, sentivo di aver in realtà sempre conosciuto quella ragazza. “Come?” Le chiesi. Mi guardò negli occhi, i suoi erano di un colore ambrato, caldo e accogliente: mi facevano sentire a casa. “Se vuoi davvero saperlo posso mostrartelo, ma una volta presa questa via devi giurare di non parlarne con nessuno: solo persone veramente forti possono comprendere.” Quella ragazza sembrava così sicura di sé, forte, coraggiosa e perfetta: il mio opposto. Se avessi avuto accesso a questo suo segreto, sarei riuscita ad essere quella persona che tanto desideravo diventare: tutti mi avrebbero ammirata, non sarei stata più un’ombra, anzi sarei potuta apparire come il sole che dopo sei mesi di notte rischiara le tenebre del Polo nord. Spenta la sigaretta sotto il tacco, la misteriosa ragazza si alzò. Non avevo il coraggio di chiederle come si chiamasse: aveva un’aurea affascinante che la rendeva surreale, onirica e superiore. Si incamminò verso destra e io la seguii senza fiatare. La tallonavo a testa bassa, in primis perché camminava velocissima con quelle sue gambette e inoltre avrei avuto paura di affiancarla: non me ne sarei sentita degna. Così dopo un po’ persi la cognizione del tempo e quando si fermò, ci mancò poco che le sbattessi il naso sulla schiena. Davanti a noi si stendeva una strada sterrata e lunghissima, di cui era impossibile scorgere la fine. Non l’avevo mai vista, eppure non doveva essere lontana dalla città: un attimo fa ero passata davanti a quella pasticceria dove fanno dei croissant squisiti.

“Eccoci” mi disse. Era questa la “via” che doveva cambiare la mia vita? Un sentiero impolverato, ormai fangoso a causa della pioggia sempre più fitta, accidentato e deserto: non mi sembrava promettente. “So cosa pensi,” la mia espressione, come al solito, lasciava intendere facilmente i miei pensieri, “anch’io qualche tempo fa vedevo questa strada come la vedi tu ora: un deserto fangoso senza meta, ma è molto di più. Vedi, qui non ci sono le voci di chi non ti apprezza, non c’è quella sensazione di vuoto che ti opprime, non ci sono dubbi che ti soffocano; invece puoi trovare gratitudine, forza, potenza, controllo. Non che tutto questo non abbia un prezzo, ogni passo in questo sentiero ti affaticherà e metterà a dura prova, perciò non è accessibile a tutti. Se non sei abbastanza coraggiosa da intraprenderlo puoi girarti e tornare indietro, ma addentrandoti, le gratificazioni che riceverai in cambio saranno ineguagliabili.” Le sue parole erano ammalianti, ma allo stesso tempo oscure. Cosa perderò una volta entrata? Cosa significa che mi metterà a dura prova? Il “prezzo” da pagare varrà la pena per ciò che potrò ricevere in cambio?

Questi e molti altri pensieri mi turbinavano in testa. Come avrei potuto risolvere i problemi che mi affliggevano? Come avrei potuto essere felice separandomi completamente dai miei genitori e dai miei amici? Loro non ascoltavano, è vero, e tanto meno capivano, però mi volevano bene in fondo, no? Avrei potuto fare un ultimo tentativo per riconciliarmi con loro? Difficile. Forse il vero problema non erano loro ma io: sì proprio io. Io che non sapevo accettarmi, io che non sapevo ascoltare, io che non sapevo essere una persona migliore. Così intraprendere quella strada con la misteriosa ragazza mi avrebbe permesso di risolvere i conflitti interni che mi schiacciavano. Il cielo continuava a piangere e adesso le sue lacrime si confondevano con le mie, mentre lo fissavo impotente. Sentii una mano gelida stringere la mia con forza. Guardai la ragazza dagli occhi ambrati, che sembravano gli unici a comprendere veramente l’oceano dentro di me. “Non è facile, ma è l’unica soluzione, non è vero?” I nostri corpi inzuppati, la fanghiglia che ricopriva le suole delle nostre scarpe, le mani gelide che si stringevano e il suo trucco che colava mi indicavano la decisione da prendere. Alla fine di quella giornata uggiosa mossi il primo passo verso la strada che credevo davvero, nella mia cecità, mi avrebbe portato verso la salvezza.

Mi svegliai sudando freddo. Sul soffitto il lampadario spento. A sinistra lo specchio. A destra la terrazza che dava sul cielo grigio. Sul letto io: una ragazza bionda in pigiama con una borsa dell’acqua calda sulla pancia, soffocata dalle coperte, che provava inutilmente a cercare quel poco di calore che le rimaneva nelle membra. Ora era troppo tardi per dire di no a quella ammaliante ragazza, ora era troppo tardi per capire dove conduceva realmente quella via fangosa. Mi rigirai nel letto matrimoniale dei miei genitori, presi una delle mie amate Camel Blu e uscii in terrazza incurante del freddo. Lo sentivo infilarsi sotto la pelle come aghi appuntiti: più soffrivo e più sentivo che quel vuoto dentro di me scompariva, più il mio corpo doleva e più la mia anima respirava e il mio stomaco dimenticava la fame che lo attanagliava costantemente. La accesi e inspirai. Bruciore nei polmoni. Nicotina nelle vene.

Non si poteva tornare indietro nel tempo, ma si poteva cambiare il futuro. Avrei avuto la forza di lasciare andare quella mano gelida e di scegliere un’altra strada? Solo io potevo farlo. Nella mia testa la voce della ragazza mi derideva: “Credi davvero di cavartela da sola? Tu hai bisogno di me. Lo sai che è l’unico modo per essere davvero perfetta.” Con la mano cercavo di scacciare quell'immagine, ma non potevo: lei era dentro di me, lei era me.

“Quel giorno non hai chiesto né il mio nome né quello della via, li conoscevi già non è vero?” Aveva ragione: conoscevo perfettamente i loro nomi, ma mi illudevo non fossero quelli, mi illudevo che sarei stata più felice, mi illudevo che la mia vita sarebbe stata migliore e perfetta. Ora non dovevo più temere i loro nomi, se avessi ammesso a me stessa contro cosa volevo lottare forse avrei potuto, se non vincere, almeno cominciare la battaglia. Fissai quella ragazza nella mia mente e adesso la vedevo com'era realmente: occhi spenti, corpo ossuto, labbra viola, pochi capelli e molto pallore. Così le dissi ciò che avrei dovuto risponderle molto tempo prima: “Anoressia non stringerò la tua mano lungo la strada della Morte”.