Le mie strade

di Mario Gusso


Questa, è la favola di Joe. Joe, ancora prima di venire al mondo, strillava e il giorno in cui nacque strillò talmente forte il suo desiderio di vita che divertì perfino l’ostetrica. Il suo arrivo aveva fatto felici i genitori e formato la famiglia. Vivevano in campagna dove il padre aveva ereditato un podere. Oltre a dedicarsi alla coltivazione della terra, i genitori allevavano galline e conigli e producevano miele. Nel fine settimana, si recavano al mercato del paese più vicino per vendere i propri prodotti guadagnando quanto bastava per sostenersi. Joe cresceva nel rispetto della natura e dei valori della vita; quando la sera il padre tornava dai campi, il figlio lo attendeva e non appena lo vedeva gli correva incontro abbracciandolo finché il padre se lo caricava sulle spalle tenendolo con le mani callose. La madre, seduta sotto l’ombra del glicine, li osservava con occhi contenti. Joe era un bambino curioso, il padre lo portava spesso con sé. A volte prendevano un gelato e poi comperavano un pensierino per la mamma. Aveva imparato a conoscere le piante, gli insetti, i periodi per la semina e per il raccolto, le api e l’impollinazione, andava a dorso di mulo e, dal gracidare delle rane, capiva quando stava per arrivare la pioggia. Joe era un ragazzino sveglio ed educato e lo studio lo appassionava. I genitori ne erano orgogliosi. Quando la malattia si portò via il padre, in Joe scese il buio, si chiuse in se stesso rifiutando di parlare, comunicava con la madre scrivendo. Lei, preoccupata, pensò si trattasse di una reazione alla perdita del padre: per questo motivo lasciò passare un po’ di tempo assecondandolo. Infine, si recò alla scuola, mettendo al corrente gli insegnanti di come fosse cambiato il figlio. Insieme decisero che per lui fosse bene continuare a frequentare le lezioni così da sottrarlo ad una ulteriore solitudine. Quando lo scuolabus lo riportava a casa, la madre era lì ad aspettarlo. Ma, da qualche tempo, Joe aveva comportamenti strani. Succedeva che, nei meriggi di sole, uscisse di casa e, camminando tra i campi, raggiungesse una grande quercia. In quei pomeriggi di silenzio, immerso nella natura, nella sua fantasia prendeva vita una favola: cominciò a confrontarsi con personaggi immaginari: il vecchio saggio di nome Trionfo, il cane pastore Senza Nome e la quercia Chioma che li ospitava sotto la propria fronda. Iniziò un dialogo col vecchio: Joe gli poneva domande ottenendo risposte sul trascorrere del proprio tempo, imparando che il solo modo di fermarlo è di goderlo, e sulla necessità che le virtù abbiano il sopravvento sui vizi per ottenere una vita illuminata. Il vecchio Trionfo gli diceva: “Caro Joe, le risposte alle continue domande della vita sono più vicine di quanto pensi. Osserva il cielo, in quale direzione vanno le nuvole e capirai da dove arriva il vento che le spinge. Vedi il sole sorgere e tramontare e impari i punti cardinali. Nelle notti limpide scruti le stelle, le eclissi e la luna che influenza le maree. Alzando lo sguardo, darai dignità al creato. Osserva la maestosità della folta Chioma che ci dà refrigerio, ci sono voluti molti anni per diventare tanto bella; oltre ad ospitare noi tre, accoglie centinaia di uccellini che vi trascorreranno la notte: un concerto di suoni che ci rallegra”. “Ma, cosa tratta quel grosso libro che tieni con te?”.

“Questo è il grande libro della vita. Vi trovo le risposte alle domande che mi vengono rivolte e, credimi, da me sono passati in molti: innamorati o imperatori traditi, uomini ricchi o poveri, il contadino e il marinaio che temono le tempeste. Dimmi Joe, cosa ti affligge tanto da cercarmi?”. “Volevo bene al mio papà e lui a me, lo aspettavo quando tornava dai campi, ma poi un giorno una brutta malattia lo ha portato via”. “Lo so che sei arrabbiato Joe, e mi dispiace tanto, ma non si può fare nulla. La vita può essere bella, ma anche crudele. Pensa anche a tua madre, a come la faccia sentire sola il tuo silenzio”. Joe si fece serio, si incamminò sulla strada di casa pensando alle parole del saggio. A scuola, per il fatto che non parlava, Joe era considerato un diverso. Sedeva su un banco doppio, chiuso nel suo silenzio, nessuno dei suoi compagni voleva stare con lui. Si sentiva triste. Una mattina, il maestro si rivolse alla classe dicendo che il giorno seguente avrebbero avuto una nuova compagna e che questa avrebbe preso posto accanto a Joe. Lui si sentì irrequieto, si chiedeva come sarebbe stata la sua nuova vicina di banco. Quella notte non riuscì a dormire. Il mattino dopo, Joe stava in aula quando bussarono alla porta. Il maestro interruppe la lezione, si alzò dalla cattedra e andò ad aprire. Entrò il preside tenendo per mano una bambina. Venne presentata la nuova arrivata, si chiamava Miriam, veniva da un piccolo villaggio dell’Africa dove la siccità aveva distrutto i raccolti; molti erano stati costretti a migrare. Miriam prese posto a fianco di Joe. Per la prima volta, lui vedeva una bambina color ebano e sentiva la parola Africa. Non conoscendo la lingua, lei non parlava, era timida e smarrita: in quel banco adesso erano in due a non parlare. Quel pomeriggio, Joe andò a sedersi sotto la grande quercia trovando la compagnia di Trionfo e lo scodinzolare di Senza Nome. Iniziò a raccontare della sua nuova compagna di banco, del colore della sua pelle. Voleva sapere dell’Africa. “Joe, quando Noè costruì l’arca, andò proprio in quel continente, lì viveva ogni tipo di animale, ne fece salire una coppia per ogni specie, poi raccolse i semi di ogni pianta salvandoli dal diluvio universale e dall’estinzione”. L’indomani, a scuola, osservò Miriam pensando a quello che aveva detto il saggio a proposito dell’Africa. Si immaginava una terra popolata di tigri, leoni, belve feroci, elefanti con grandi zanne d’avorio bianco. Durante l’intervallo, il maestro era solito far scendere gli alunni nel giardino dove potevano giocare e consumare uno spuntino. Joe e Miriam facevano ricreazione assieme e presto diventarono inseparabili, il fatto che nessuno dei due parlasse aveva creato tra loro una complicità e una comunicazione fatta di sguardi che andavano oltre ogni lingua convenzionale. Erano soliti sedersi sotto una betulla mentre i loro compagni si divertivano con giochi di squadra. Nelle giornate di sole, se soffiava il vento, le foglie mosse regalavano un riflesso argenteo tutt’attorno. Gli tornavano alla mente le parole dell’insegnante sulla famiglia di Miriam e sulla siccità che aveva distrutto i raccolti. Seduti in giardino, un giorno successe un fatto strano: di scatto Joe si alzò in piedi e cominciò a correre verso la rete di recinzione che dava sulla strada aggrappandosi con le mani e allungando il collo il più possibile per guardare oltre, era certo di aver visto passare un cane bianco che scodinzolava, sicuramente Senza Nome. Miriam osservò la scena senza capire. A lui non era mai successo di incontrare i suoi personaggi lontano dalla grande quercia, rimase scosso, dentro sé percepiva fosse il segnale di qualcosa. Tornato a casa dopo la scuola, si incamminò subito verso la grande quercia. Arrivato, alzò lo sguardo verso il fogliame ma non vide alcunché. Rimase seduto lì sotto per ore, smarrito.

Rassegnato si diresse verso casa, la madre lo aspettava sull’uscio. Ormai il sole era tramontato, Joe le corse incontro piangendo, si strinse forte a lei. Con voce strozzata dai singhiozzi, disse: “Mamma ti voglio tanto bene”. Aveva ripreso l’uso della parola. Lei lo abbracciò forte. Anche Miriam piano piano imparò la nuova lingua. Joe non rivide più il vecchio saggio né il cane pastore, però ritrovò la vita tornando ad essere felice. Spesso gli capitava di ricordare Chioma, Senza Nome e il vecchio Trionfo, specialmente le sue parole: “Ricordati sempre, caro Joe, tutto è già scritto nel grande Libro della Vita, ma tu, in qualsiasi momento, puoi scegliere di seguire il Bene, di amare, di sorridere alla Vita”.