L'invisibile strada del talento

di Maurizio Paccagnella


Prima di parlare il professore poggiò i gomiti sulla massiccia scrivania in mogano, incrociò le dita delle mani portandosele sotto il mento, infine si schiarì la voce: "Suo figlio, signor Hermann, mi sembra un ragazzo vivace ed estroso ma, vede, possiede anche una decisa avversione per la scuola e i professori” spostò le mani dal mento posandole sul tavolo, “Inoltre” continuò “Quando c'è lui in classe anche gli altri ragazzi perdono il rispetto dovuto ai loro insegnanti. Ha un carattere che si spinge troppo oltre e i suoi compagni si lasciano influenzare facilmente, facendo sembrare che la fiducia dovuta al nostro ruolo di educatori non sia meritata” fece una breve pausa appoggiandosi allo schienale della sedia, “Non so molto di suo figlio” continuò, “E non credo sia compito mio saperne qualcosa, non possiamo certo occuparci delle inclinazioni caratteriali degli studenti in questa scuola e non mi rimprovero che nessuno di noi si sia occupato di più del suo ragazzo ma vede, suo figlio ci ha reso la vita davvero difficile e devo ammettere che non mi ispira una gran simpatia. Provo a spiegarmi meglio, per un anno intero l'ho avuto seduto di fronte a me durante le lezioni di greco eppure... mi ignorava, anzi, l’ho persino sorpreso a sbadigliare" Il signor Hermann era seduto scomodamente su una sedia molto bassa, il cappello appoggiato sulle ginocchia, sentendo quelle parole si mosse leggermente, tradendo un certo disagio. Certo il professore non aveva tutti i torti si diceva, ma si chiedeva anche se fosse bene, da un punto di vista pedagogico, mettere in evidenza i soli lati negativi di un alunno. “O si studia come noi insegniamo in questo istituto o si rimane degli ignoranti" insistette il docente. "Questo è l'addestramento più importante che dobbiamo inculcare ai nostri allievi, tutto il resto sono solo chiacchiere." Il signor Hermann si sentì ferito per il modo con cui il professore si esprimeva nei riguardi del suo lavoro, ai suoi occhi un’attività dal ruolo così delicato, che certe espressioni gli risultavano più delle provocazioni che una argomentazione paladina della dedizione all’insegnamento. Con un candore incredibile, spiegabile soltanto con la forza della sua indignazione, si sentì in dovere di replicare, allungandosi sulla sedia cercò di darsi un’impostazione prudente dicendo, con il tono il più delicato possibile: "Qualche volta si farebbe bene a considerare più seriamente la pedagogia, come ad un approccio che consideri più aspetti del carattere dei ragazzi, forse renderebbe meno rigide le posizioni di entrambe. Mi scuso a nome di mio figlio se non è certo interessato allo studio delle lingue, per di più se antiche, ma le posso assicurare che eccelle in altre materie. Ad esempio ci tengo a dirle che ama molto suonare il violino" quelle ultime parole galleggiarono sospese nell’aria per qualche secondo, dopodiché il professore, come fosse stato punto da un’ape, si raddrizzò sulla poltrona spalancando gli occhi, un lieve spasmo gli curvò gli angoli della bocca, dopodiché sbottò: "Mi scusi la franchezza signor Hermann, ma le sue sono solo sciocchezze pedagogiche. Certo i ragazzi sono tutti intraprendenti per natura, ma dove andrebbero con la loro intraprendenza se non ci fossimo noi a dargli un indirizzo da seguire, una strada sicura da percorrere? questo non è un conservatorio ma un ginnasio. Suo figlio non si ricorda le tabelline e racconta barzellette in classe! Noi come educatori dobbiamo dare loro ordine e dura disciplina, una realtà che devono comprendere fin dal primo giorno che arrivano qui e se non ce la facciamo a parole, un buon scappellotto può sempre tornare utile" “Dovremmo fare di questi ragazzi delle persone per bene, non dei cittadini arrendevoli e impauriti” replicò Hermann senza scomporsi. Ci fu silenzio, Hermann fissò il professore mentre i suoi pensieri iniziarono a vagare lontano nel tempo. La nascita del suo primogenito non era stata una vera gioia, la testa insolitamente grossa del bimbo aveva lasciato impressionati sia lui che Pauline, la povera moglie. Per non parlare della nonna che girava per la stanza continuando a dire “E’ troppo grossa, è troppo grossa”. E ciò che sembrava presagire una testa così ingombrante, cioè una sorta di anormalità evidente, sembrò rispettare le attese. Il bimbo non avrebbe parlato fino all’età di tre anni, convincendo il padre che soffrisse di qualche forma di deficienza cognitiva. Persino la domestica che accudiva la loro casa si ostinava a chiamare il piccolo “Lo stupidello”.

Ricordò come solo all’età di cinque anni il bambino avesse finalmente dato segno di una vitalità a quel punto insperata. Accadde in occasione di un regalo che lui stesso aveva fatto al figlio, una piccola bussola. Il bambino la osservò per giorni, se non mesi, come se quell’insignificante minuscolo oggetto, celasse al suo interno segreti ai più sconosciuti. E lui si trovò a passare notti insonni in preda allo scoraggiamento, all’idea di non riuscire a capire quale forza spingesse il ragazzo a comportarsi in quel modo. Il tempo era trascorso e, verso i nove anni, il piccolo sembrava avere colmato, almeno da un punto di vista dialettico, la distanza che lo separava dai suoi coetanei. Forse grazie anche allo zio Jacob, che si era preso cura del giovane e di parte della sua educazione, trasferendogli un amore per le materie scientifiche che il ragazzo parve condividere. Ma ora, con l’iscrizione al ginnasio, ad Hermann sembrava di essere tornato nel bel mezzo del suo incubo, quando, anni addietro, si era convinto che il figlio soffrisse di una qualche sorta di ritardo mentale, tutte le sue paure tornarono a galla dandogli la sgradevole sensazione di soffocare. La voce baritonale del professore di greco lo riportò alla realtà. “In fondo” stava dicendo il docente “Ci stiamo accalorando senza motivo. A mio parere sarebbe meglio non dare agli allievi la possibilità di alzare troppo la cresta, e su questo spero lei ne convenga con me, che è del tutto lecito aspettarsi da loro del rispetto dettato dai ruoli. Non si tratta di forgiare uomini arrendevoli o impauriti, ma di indicargli come ho già detto, la strada da seguire. Per quanto riguarda suo figlio, per essere il più chiari possibile, non vorrei che il protrarsi del suo atteggiamento ostile turbasse ulteriormente l’armonia di questo istituto, veda di spiegarglielo o sarò costretto a prendere seri provvedimenti” Di nuovo al signor Hermann venne voglia di replicare, riuscì a trattenersi capendo che forse non ne valeva la pena. Ora comprendeva l’inspiegabile rifiuto per le gerarchie che il figlio dimostrava da qualche tempo, il suo intransigente desiderio di libertà ed indipendenza non poteva che cozzare duramente contro educatori così rigidi e autoritari. Con un sconsolato cenno del capo annuì, “Cercherò di seguire il suo consiglio” disse alzandosi dalla sedia, stringendo il cappello sulla mano sinistra mentre porgeva contemporaneamente la destra al professore, che si alzò a sua volta. La stretta di mano avvenne con una cortesia che gli sembrò innaturale ed ipocrita, notò che il professore la prolungò volutamente mentre, puntandogli gli occhi grigi e ostili addosso, l’insegnante si sentì in dovere di aggiungere qualche ultima parola: “Vede signor Hermann, non apprezzo ciò che sto per fare ma, come istitutore, ho il dovere, per non creare in lei illusioni immotivate, di dirle ciò che sto per dirle” i suoi occhi ebbero un guizzo di meschinità, si schiarì in modo ostentato la voce prima di parlare, “Suo figlio Albert non sarà mai in grado di combinare nulla di buono nella vita signor Hermann Einstein se ne faccia una ragione” sentenziò. A quel punto, apparentemente soddisfatto, lasciò lentamente la mano del signor Hermann che, visibilmente turbato, si girò lentamente uscendo senza dire una parola.