Siderum

di Sofia Giacomin


Denise è una bellissima diciottenne, orfana di madre e legatissima al padre, stella promessa della danza, frequenta il liceo sportivo e nutre un amore segreto per la Via Lattea. Ama osservare il firmamento e perdersi tra gli astri, perché è lì che identifica la sua via maestra e cerca le risposte nei momenti di sconforto.

Fin da piccola suo padre le aveva insegnato ad ascoltare e lasciarsi guidare dai corpi celesti, passando assieme intere notti sotto il cielo stellato, come avvolti da un caldo e luminoso abbraccio. Ruggero, il padre, è una persona solare ed affettuosa, con una grande passione per i motori e la musica.

Quello per le stelle non era un semplice passatempo, ma un vero culto maturato negli anni. Era una domenica di febbraio quando Ruggero decise di proporre a Denise un viaggio, dove i protagonisti sarebbero stati solo una moto, uno zaino da trekking e le strade che li avevano accompagnati nel loro percorso di vita. Un mese dopo, i due si misero in sella e partirono per quell’avventura che cambiò loro il senso dell’essere. Prima della partenza, Ruggero aveva annotato su un blocchetto tutte le località che avrebbero visitato, una, però, la mise in risalto evidenziandola con un pennarello viola, preso dall’astuccio di Denise: Via Verdi 17. Lì Ruggero vide per la prima volta la moglie e lo ricorda come se fossero passati pochi istanti.

“Un incanto nel suo vestito blu all’uscita dello studio dove faceva tirocinio”, pensò, “era bella come la nostra Denise”. Silvia, moglie di Ruggero, era praticante architetto ambientale con un sogno, quello di costruire nuove strade e creare collegamenti tra mondi distanti. All’alba del 14 marzo, il motore rombò, i caschi si allacciarono e le braccia della ragazza si strinsero attorno al padre. Il vento le sferzava i capelli biondi e dopo chilometri macinati ininterrottamente, si fermarono dinanzi ad un palazzo grigio con una scritta azzurrina sbiadita. Il padre annunciò: “Prima tappa, Ospedale della Misericordia; benvenuta in Sicilia tesoro!”. Questo, le spiegò, era il piccolo pronto soccorso di Siracusa dove sua madre era venuta alla luce, 43 anni prima. Gli occhi di Denise si riempirono di lacrime e si sentiva così triste da voler ripartire subito. Ruggero allora la portò sul lungomare e le raccontò quanto Silvia amasse la sua città e il rapporto profondo che aveva con essa. Quel pomeriggio Denise vide sua madre con altri occhi, conobbe le sue manie, come il percorrere cinque volte il belvedere affacciato sul mare prima di ogni esame, o la sua abitudine di calmare la rabbia fissando i sanpietrini del suo quartiere. La notte, trascorsa lì in un piccolo B&B, passò rapida e la sveglia suonò troppo presto per una dormigliona come Denise.

“Colazione veloce e subito in sella”, disse il padre. Si diressero in Via Palazzo, dove la madre frequentò l’università e poi in quell’angolo sperduto dove la scintilla scoccò: Via Verdi 17. “Questa strada è stata il luogo del mio incontro fortunato, quando la vidi mi sono sentito come se avessi fatto terno al lotto”, aggiunse con voce tremante.

Nel pomeriggio raggiunsero un parco, apparentemente desolato. Denise non capiva, si sentiva frastornata dai ricordi paterni che ora stavano diventando anche suoi. Il padre si sedette e per un istante gli mancò il fiato. “Qui, vent’anni fa” - disse in un crescendo di emozione - “con un semplice anello in nickel chiesi a tua madre di diventare la signora Mazzonchi; ricordo ancora i nostri sguardi pieni dell’irrefrenabile voglia di viverci.” In tarda serata giunsero dinanzi una chiesa, fuori città, nella placida campagna siciliana, dove i genitori coronarono il loro sogno d’amore ed è proprio lì che Ruggero e Denise decisero di fissare la tenda. Nessuno dei due riusciva a prendere sonno, così uscirono fuori; la notte era mite e senza dire una parola, si addormentarono guardando le stelle. L’indomani raggiunsero un bel quartiere, moderno, dove Denise iniziò a scattare fotografie.

“Papà, guarda, Via Siderum, il soprannome con cui chiamavi la mamma!”. “Questo - disse orgoglioso - “è un progetto di Silvia Ferrano, tua madre.” Le spiegò che si trovavano in un quartiere adiacente a quello dove lei era cresciuta, posti allora malfamati ed abbandonati e dove lei voleva riportare la luce, così aveva presentato un progetto di recupero, ribattezzando la strada inizialmente “Desiderio”, chiamandola poi semplicemente Siderum. Silvia era nata per questo: donare nuova vita a strade che per spaccio, incidenti, miseria la vita la strappavano e, qui, gli astri erano tornati a splendere grazie a lei. Viaggiando tutta la notte, fecero rotta verso Napoli, dove Ruggero e Silvia si erano trasferiti prima di divenire genitori, ripercorrendo le scorciatoie che da giovani facevano di ritorno dalle loro gite fuori porta.

Dopo una breve sosta, la mattina presto giunsero nel quartiere di Scampia. Negli anni “Scampia” era divenuta una parola troppo fragile e dolorosa da pronunciare che evocava rabbia e congelava sorrisi ormai spenti, accendeva nei cuori fiammate di rancore miste a nostalgia. Proprio qui, anni dopo, il 17 marzo, il destino aveva voluto portarsi via Silvia. Una giovane vita spezzata che nel desiderio di cambiare quella di molti, aveva perso la sua, investita da un tir. Il perché si fosse ostinata a investire le sue energie su quel quartiere e su quelle strade tra le più infami d’Italia, lo può capire solo chi Silvia la conosceva bene ed aveva compreso il sogno che stava inseguendo. Quella stessa mattina, infatti, aveva presentato all’assessore comunale un progetto per concorrere alla gara d’appalto che come obiettivo aveva la rinascita del territorio e che lei aveva chiamato “Scampia: la MIA strada”. Non appena il bando di concorso uscì, aveva accettato la sfida, mettendosi al lavoro per trovare idee che avrebbero contribuito alla riqualificazione urbana e al cambiamento della percezione di quel quartiere di Napoli, una città che dopo anni aveva iniziato a sentire come casa. L’elaborato piacque moltissimo e lo stesso sindaco riconobbe quello di Silvia un piano vincente. Era felice, la sua era una gioia che profumava di soddisfazione professionale e di pieno di appagamento.

Vedere i suoi sogni che avrebbero preso forma, diventando nuove strade calpestate da anziani in bicicletta, pendolari stanchi, innamorati e studenti, la faceva sentire viva. Permettere ai luoghi dimenticati di rinascere, non era un lavoro, ma la sua filosofia; per lei, alcuni scorci, ma in particolare le strade, avevano un qualcosa di magico, non erano solo infrastrutture necessarie alla viabilità, erano percorsi che permettevano la congiunzione tra mondi. Silvia però su quelle grigie lastre di cemento, alternate a buche, mozziconi di sigarette e gomme da masticare, trovò la morte. Le ultime cose che vide, oltre all’infrangersi dei suoi sogni, furono un camion bianco e due fari abbaglianti che avanzavano senza lasciarle il tempo di reagire. Ruggero aveva passato settimane pensando a quale potesse essere il regalo perfetto per il diciottesimo compleanno della figlia, fino quando, poi, guardando le stelle, capì che nulla sarebbe stato più bello del ripercorrere le strade della loro storia familiare e farle capire che siamo noi stessi a dare vita e senso alle cose, cercando di assottigliare quel margine tra sogni e realtà. Silvia amava donare concretezza a ciò che di più astratto e irraggiungibile esistesse attorno a lei ed è proprio in suo onore che, dieci anni dopo, l’architetto Denise Mazzonchi portò a termine il progetto da lei lasciato incompleto, intitolandolo: “Scampia: la NOSTRA strada”.

Nel giorno del 53° compleanno di Silvia, fu inaugurata la sua opera sotto un cielo trapunto di stelle, dove a splendere c’era anche lei. Plasmata da quella luce che tutto avvolgeva, Denise strinse a sé la sua catenina con incisa la parola SIDERUM e si accorse che SIDERUM erano semplicemente loro, Silvia, Denise e Ruggero Mazzonchi.