Non finirà mai

di Tommaso Carlucci


Una ultima salita e forse era giunto in paese. Glielo suggeriva la strada, segnata dal passaggio invernale dei carretti, che iniziava ad infilarsi sotto un regolare manto di ghiaia.

La borsa da medico condotto non gli era mai stata così leggera. Nessun attrezzo gli sarebbe servito questa volta.

Il braccio destro, allenato in quegli anni ad estrarre denti, schegge di proiettili o qualsiasi altra cosa che la professione e l’urgenza della guerra avessero richiesto, stringeva il manico di ottone. La mano sinistra schiacciava il cappello sulla testa. Il tabarro a proteggere dalla pioggia primaverile.

Con una spallata aprì la porta. L’insegna, una tavola bianca con un deciso tratto di carbone, diceva Osteria all'Antico Termine.

La desolazione, trovata lungo la mulattiera che da Asiago portava in quel posto, fu spazzata via dal fervore che vi trovò dentro.

C’era chi puliva per terra, chi tappava i buchi nel muro, chi rinforzava il legno delle sedie, chi metteva in linea le mensole, chi cancellava le scritte di propaganda sui muri, chi lavava le pentole. Ovunque vi era voglia di tornare alla normalità.

Immobile e imponente, dietro il bancone, una donna. La proprietaria di quel posto. Un sorriso ne mutò il volto non appena il dottore fu davanti a lei.

“Buongiorno dottore, pensavo che il mio messaggio non vi fosse arrivato... sono passate diverse settimane da quando gliel’ho fatto recapitare.”

“Anita, non avrei mai potuto ignorare le vostre richieste. Quel che avete fatto per questa gente durante la guerra merita riconoscenza. Infinita riconoscenza. Sono tempi difficili per tutti”. Tagliò secco il discorso. “Non perdiamo altro tempo. Dove lo trovo?”

Gli occhi indagatori di Anita divennero occhi di mamma. Rispose. “Dietro. Nella stalla...”

“Che grado aveva in guerra?” Chiese ancora l’uomo.

“Caporal Maggiore”. Un cenno di saluto e il dottore era già fuori. Riprese in mano la lettera

ricevuta da Anita e che aveva portato con sé.

DOTTORE HO BISOGNO DI VOI. MIO FIGLIO È TORNATO DALLA GUERRA MA È STRANO.

VEDE E SENTE POCO, PER COLPA DI UNA BOMBA ESPLOSA TROPPO VICINO, DICE LUI.

STA SEMPRE COI MULI, PARLA POCO E SE LO FA, LO FA CON LORO. GLI PARLA ALLE ORECCHIE. MI DICONO CHE VOI SAPETE CURARE QUESTE COSE. VI ASPETTO.

ANITA.

Aprì con delicatezza la porta della stalla. Profumava. Era ben tenuta, arieggiata ed enorme.

Gli attrezzi e le bestie ordinate.

Un colpo di tosse ed entrò nella parte: in quel momento diventava un ufficiale del Regio Esercito che, per conto del Re percorreva le strade del Regno, si accertava di come vivevano i soldati a guerra finita. Il Re teneva alle sue milizie, anche in tempo di pace! Era il motto che ripeteva a tutti i suoi inconsapevoli pazienti.

La tecnica psichiatrica che il dottore stava studiando da quando la guerra era finita riversando soldati - menomati se non nel corpo, di sicuro nella mente - tra la popolazione stava dando buoni frutti. Creava fiducia nel paziente, abbatteva le resistenze e aiutava a capirne la storia medica. Curarli però era altra cosa, la strada era ancora lunga per quello.

Troppo il dolore e la violenza subita per poter pensare a una guarigione definitiva.

“Caporal Maggiore Giuseppe Dal Poz!” Silenzio in risposta.

Alzò il tono. “Caporal Maggiore Giuseppe Dal Poz. Lo so che è qui, sono ...” e gli raccontò la bugia. Ancora silenzio.

“Il Re vuole sapere come state...”

Le assi che facevano da recinto ad alcuni muli si mossero. Ne uscì una sagoma nera che, veloce, si piantò sull’attenti di fronte al dottore.

Un occhio nero, l’altro bendato, il viso scarno e un naso ossuto gridarono “Comandi!”

L’alito era fetente.

“Comodo Caporal Maggiore, la guerra è finita, non ci sono più gradi ora ma soli amici...”

Il corpo del Caporale si ammorbidì, non il suo occhio che vibrava incapace di stare fermo.

Il dottore lo invitò a sedersi. Vicino a lui, sulle casse. Gli raccontò nuovamente chi fosse, chi lo mandava, il suo compito. Il Caporale sorrise. E iniziò ad indagare sulla vita del soldato.

“Ditemi, come state, che fate... mangiate? E la vostra famiglia?”

Il Caporale disse di stare bene. Aveva problemi a un orecchio, ogni tanto sentiva un forte ronzio che gli forava il cervello, e un occhio ormai perso. Senza che il dottore chiedesse, raccontò come era successo.

Era grato all’Esercito. Non sapeva fare nulla, prima della guerra. Nel conflitto lo avevano addetto alla cura dei muli. E lui aveva trovato il suo scopo di vita. “I muli sono animali affettuosi, ti capiscono. Molto più di tanti soldati di cui non capivo il dialetto, lassù sui monti”.

Poi scoppiò a piangere.

Raccontò di quella bomba caduta vicino la strada, dei suoi amici muli che lo avevano salvato proteggendolo con i loro corpi, di come si era svegliato, imbrattato di viscere puzzolenti e sangue, dopo l’esplosione, dentro la carcassa di uno di loro.

Lui, diceva, ci aveva guadagnato dalla guerra. Dopo la guerra le cose erano migliorate.

Aveva pagato un prezzo caro ma ne era valsa la pena.

Al suo rientro il paese ne avevano festeggiato il ritorno. Era un eroe, lui. Tutti lo rispettavano.

Li aveva difesi dal nemico, dal conquistatore. La sua vita era stata messa a rischio per la libertà dei suoi concittadini.

E raccontò di come i bambini del paese lo vedevano come un esempio. Non poteva mettere piede in strada che subito lo circondavano, gli gridano in coro “Eroe di guerra, eroe della nostra terra”. E non lo mollavano fino a quando non tornava a casa. A casa, poi. Trovava i muli di sua mamma. Erano sicuramente parenti di quelli avuti in guerra perché anche loro lo capivano al volo. Si capivano guardandolo negli occhi. I loro due occhi nel suo unico occhio.

“Ora vi saluto, Comandante. Ho molto da fare. Ringraziate il Re, può stare tranquillo: qui ci sono io.”

Si alzò e veloce raggiunse l’uscita. Il dottore lo seguì ma non fu altrettanto lesto. Lo vide già lontano camminare fulmineo sulla strada, circondato da bambini.

Le grida dei piccoli arrivavano limpide fino alla stalla.

“Scemo di guerra, tornatene nella terra! Scemo di guerra, tornatene nella terra!”

Il dottore, riprendendo la strada sterrata fuori dal paese, pensò che la guerra è proprio una brutta cosa.