Andrea Tomaello

Paolo, dove sono?


Vi ho mai raccontato del mio amico Paolo? Probabilmente no, solitamente sono timido nel parlare con le persone, oltre che molto riservato. Mia madre dice che queste sono scuse, io in verità sono pigro! Un pigrone nato, di quelli che mettevano la sveglia alle 7.15 per essere a scuola alle 8 ma che prima delle 7.54 non si alzavano. Sì, forse ha ragione, sono pigro. Ancora adesso, che ho quasi 40 anni, mi tocca combattere già di prima mattina con la mia poca voglia di alzarmi dal letto. 7, 7.03, 7.06, 7.10: sono le mie quattro sveglie impostate dal lunedì al venerdì per cercare di arrivare in tempo al lavoro. Sono pigro, sto bene tranquillo a casa, in divano possibilmente, e faccio le cose essenziali che la vita chiede di fare per sopravvivere. Sembra brutto da dire, ma io sto bene così. Il mio amico Paolo me lo ripete sempre: “ti xe vecio dentro”. Lui, amico fidato d’infanzia, anche all’alba dei quarant'anni, sembra essersi sostituito a mia madre sulle critiche per la mia pigrizia. D’altronde loro sono sempre andati d’accordo, o quanto meno tra di loro deve esserci stato un contratto non scritto fin da quando io e Paolo frequentavamo le scuole elementari e medie. Lei mi ripeteva continuamente: “impara da Paolo: studia, ha buoni voti e va quattro volte alla settimana a nuoto!”. Sono sempre stato destinato ad avere lui come modello, ma in fondo non mi interessava, non lo guardavo né come esempio da seguire né con ammirazione. Paolo era ed è un mio grande amico, anche se siamo completamente diversi. Da piccolo mi faceva diventare matto, come nelle ricreazioni a scuola: iniziavamo un gioco con altri compagni e lui già voleva cambiarlo! Non è che non gli piacesse, è che aveva un dinamismo impressionante. Mia madre mi costringeva ad uscire con lui, io avrei tranquillamente preferito stare a casa, avevo anche una nuova playstation, datata ma bella, che mi permetteva di passare i pomeriggi in perfetta serenità.

Acquisita una maggiore autonomia e passati i primi dieci anni di vita, Paolo ha iniziato a girare in bici tutti i pomeriggi. Io ci andavo ogni tanto, quando mi obbligavano. Mi portava dappertutto, anche nei posti più sfigati e brutti del circondario. A lui non interessava come fosse il posto, gli interessava girare e scoprire luoghi nuovi. Maledetta quella volta che si è intestardito di portarmi in campagna! Dopo qualche chilometro in bici, abbiamo proseguito a piedi lungo un argine di un fiume che aveva un terreno talmente sconnesso che non permetteva il transito in altro modo. Devo dire che non era neanche male come posto: in mezzo al verde, fuori dal caos cittadino, nessuna macchina e un silenzio rilassante. Se non fosse stato per Paolo, appunto. Anche in quella occasione correva, in tutti i sensi. Ricordo che aveva visto un pallone da calcio, nuovo all’apparenza, impigliato in un groviglio di rami e rifiuti vicini ad una sponda del fiume, posato sul letto. Tentò disperatamente di recuperarlo, non so neanche il perché visto che Paolo non era un grande appassionato di calcio. Al terzo tentativo di discesa all’argine riuscì a liberare il pallone ma si impigliò maglia e braccio in una specie di ramo sporgente e si graffiò. Venne così a sedersi accanto a me che nel frattempo mi ero messo comodo ad osservarlo.

“Chissà come ci è finito laggiù?! Qua siamo in campagna, non c'è gente che gioca sopra questo argine, deve sicuramente essere arrivato da lontano. Da dove può essere arrivato?”.

Paolo iniziò a porsi delle domande, era curioso del percorso del pallone ma soprattutto del fiume e della potenza dell’acqua.

Per la prima volta era fermo, seduto e, nonostante la giovane età, stava riflettendo sulla vita, mentre tentava di asciugarsi il poco sangue che usciva dal graffio.

La ricordo bene quella giornata, non tanto per il graffio o il momento riflessivo di Paolo che poi continuò per diversi minuti, quanto piuttosto per l’acquazzone che ci siamo presi tornando verso casa. Mia madre si mise a ridere, pensavo già che mi aspettasse la classica ramanzina per l’ora di ritardo rispetto all’orario concordato, invece quella volta era proprio divertita nel vedermi bagnato e conciato nel peggiore dei modi. A distanza di anni quando le racconto delle rare uscite che faccio con gli amici si dimostra interessata, magari pensa che abbia eliminato la mia pigrizia cronica.

Ormai ho quarant’anni, non devo più rispettare gli orari di casa, ma neanche mi pongo il problema perché esco ancora meno di quando ero giovane. Diciamo che dopo aver fatto le mie otto ore di lavoro quotidiano, continuo a preferire la tranquillità di casa nel resto del tempo. Sono impiegato in un negozio di elettrodomestici con una paga media che mi permette di vivere dignitosamente.

Paolo invece non lo vedo più di tanto, capita che a volte ci scambiamo qualche messaggio. Periodicamente mi invita ad andare a trovarlo a Bruxelles, dove abita e lavora, ma non mi sono mai organizzato. In verità è da qualche mese che non mi invita ma forse avrà perso le speranze. Anche quando abitava a Roma e Copenaghen chiedeva sempre di vedersi da lui, ma non c’è mai stata occasione. Non ha perso per niente il suo dinamismo e ha saputo trasformarlo in opportunità di lavoro e di vita. Finite le scuole superiori io ho subito trovato lavoro nella medesima bottega di adesso, lui ha tentato la strada universitaria. E’ riuscito alla fine a laurearsi due volte e ad avviare la carriera lavorativa pochi mesi prima della seconda proclamazione. Come quando giocavamo in cortile a scuola, anche sul lavoro Paolo voleva cambiare poco dopo. In una decina d'anni aveva vissuto in tre città e svolto quattro diversi tipi di lavoro, neanche tre anni nello stesso posto. Non lo hanno mai cacciato, ma faceva di tutto per trovare qualche altro impiego. Sembrava quasi che fossero tutti progetti a scadenza.

La scorsa settimana l’ho sentito via telefono per comunicargli che Fabio, un nostro ex compagno di classe delle medie, stava poco bene. Non gli ho mandato il solito messaggio a cui puntualmente risponde dopo svariate ore, ho preferito chiamarlo, la cosa era seria. Forse è stato meglio così. Ci siamo intrattenuti in una lunga chiacchierata telefonica che alternava racconti di vita quotidiana a ricordi di gioventù. Ero incredulo da quante cose mi stesse raccontando. Praticamente in soli due anni a Bruxelles, aveva aneddoti ed episodi che erano di gran lunga superiori a quelli miei di una vita di quarant’anni.

“Paolo, ma quando ti sistemi? Ogni tre anni cambi lavoro, ogni quattro un Paese, ma ti pare normale vivere così sempre di corsa e senza un punto di riferimento?!” Mi ero lasciato andare ad una considerazione confidenziale che avrei voluto dirgli da anni.

Ci sono stati alcuni secondi di silenzio, forse di imbarazzo, non lo so.

“Ti ricordi la giornata in argine nel tentare di ridare all’acqua del fiume il pallone incagliato e tutti i ragionamenti che abbiamo fatto dopo?” mi chiese lui “ecco, nella vita voglio perennemente correre proprio come l’acqua del fiume, non voglio fermarmi, primo o poi troverò qualche ostacolo ma sono ansioso di riprendere la corsa. L’acqua scorre, la vita scorre, è un’emozione continua e va assaporata, vissuta. Pensa a Fabio, all’ipotesi di non potere più fare tutto ciò. Solo l’idea che all’improvviso ci si possa fermare a metà strada mi fa star male. Te sei fermo, seduto sulla riva che guardi quello che passa quasi con indifferenza. La tua vita è ferma, la mia no. Dobbiamo sperimentare, conoscere, capire, partire dalla foce e come l’acqua non vedere l’ora di scorrere, di scendere a valle velocemente per godersi tutto quello che ci circonda, che la vita offre. Dobbiamo impegnarci, ascoltare, essere vivi! Quante cose ti stai perdendo?”.

Mi aveva spiazzato, mai si era lasciato andare ad una confidenza che mi ha fatto capire molte cose.

“Paolo, sei libero sabato? Lo so che piove sempre a Bruxelles, vedrai che da sabato nevicherà, e anche per Fabio sarà bellissimo”.

Ho deciso di correre e di vivere anche io.