Giuseppina Venturini

La leggenda del barcaiolo


Sono nata nel 1897 a San Paolo in Brasile nella parrocchia di San Carlo Do Pinal da genitori italiani. In Italia sono potuta tornare solo da adulta e, la prima cosa che ho desiderato fare, è stata quella di vedere i luoghi di origine dei miei genitori, a motivo di una leggenda che mia madre raccontava spesso quand'ero bambina.

Mia mamma, che si chiamava Maria Luigia, mi parlava con tanta nostalgia di Pescantina, il suo paese di origine e di un grande fiume, l'Adige, dove c'erano barche e mulini e grandi ruote che portavano l'acqua nei campi. Mi spiegava che per risalire il fiume, le barche venivano trascinate da terra lungo l'argine da cavalli guidati dai loro carrettieri, a volte anche da buoi o da uomini.

Nella campagna che si estendeva lungo il fiume, crescevano alberi che davano frutti buonissimi: le pesche. Lei, nel dialetto della sua terra di origine, li chiamava "perseghi".

E dei "perseghi" e di come quei dolci frutti, erano arrivati a Pescantina racconta la leggenda.

A me piaceva tanto ascoltare questa storia perché mi faceva ridere, e me la facevo ripetere più e più volte.

Adesso sono io che la racconto ai miei nipoti, così come me la raccontava mia madre.

Nel paese di Pescantina, tanti anni fa, prima ancora che nascesse mia mamma, la trisnonna abitava in una casa di corte vicino al fiume Adige. Si chiamava Maria Luigia ed era sposata con il trisnonno "Giuanin". Il Giuanin, che era il diminutivo di Giovanni, faceva il barcaiolo. Trasportava merci e persone da una parte all'altra del fiume, o da un paese all'altro. A volte però, quando non lavorava, capitava che trascorresse parte della sua giornata in un'osteria e tornasse a casa ubriaco.

Questo era fonte di grandi litigi con la moglie che gli rimproverava di spendere i soldi in vino e di ridursi in uno stato pietoso.

Una sera di luglio, ancora una volta Giuanin si ritrovò mezzo ubriaco. Non aveva voglia di tornare a casa e sentirsi ricoprire di rimproveri, così, per non litigare, pensò di andare a dormire sulla barca. Era una bella sera di luglio, faceva caldo, il cielo era un tappeto di stelle e la luna illuminava la strada per l'alzaia lungo il fiume.

Lui pensò: - Dormirò qui, sul mio "batel", non sentirò i rimbrotti di Maria Luigia e poi così son pronto per domani che devo fare una consegna molto presto -.

Con il cordame della barca e gli attrezzi si fece una specie di letto sotto una delle due assi da seduta e si raggomitolò coprendosi bene con una tela di sacco.

Cullato dal dondolio e dal mormorio dell'acqua si addormentò, ma per poco perché un sussulto della barca lo risvegliò.

Alzò appena la testa e vide due persone che stavano salendo a bordo. Erano due donne vestite elegantemente e con gioielli al collo che luccicavano al chiarore della luna. Non si erano accorte di lui. Forse avevano pensato che fosse solo un sacco pieno di merce. Mezzo addormentato e con la testa che gli girava un poco, se ne stette fermo fermo al suo posto, in attesa di vedere cosa sarebbe accaduto.

Le donne parlottavano piano fra loro e lui non riuscì a capire cosa stavano dicendo. Improvvisamente una di loro alzò la mano e gridò: - Vai per due. Vai per due - e poi - Vai per tre. Vai per tre, - e la barca si mise in movimento, ma così veloce che al Giuanin gli sembrava di volare o forse pensò: - Sono ancora in preda ai fumi dell'alcool -.

Da un buchetto del sacco riusciva a vedere l'orlo delle gonne di pizzo e le scarpette eleganti delle due donne, niente al confronto degli zoccoli di sua moglie.

Rintanato nel suo cantuccio di corde e sacco, pensò a quanto fosse strano che due donne andassero in giro da sole di notte e per di più sul suo battello.

Dopo un tempo che al Giunin sembrò lunghissimo, dovuto anche alla fatica di respirare piano e non far rumore, la barca si fermò. Un uomo aiutò a far attraccare la barca e fece scendere le signore. Diede loro una lanterna a olio accesa e con questa, tra gridolini e sussurri, si avviarono veloci lungo un sentiero.

Quando non sentì più alcun rumore, il Giuanin uscì dal suo giaciglio.

La barca era attraccata in un canale che non riconosceva e davanti a lui vide un viale che attraversava un giardino illuminato e portava a una grande e lussuosa villa.

Incuriosito saltò giù dalla barca e si avviò verso il giardino guardandosi attorno, attento a non farsi vedere. Si avvicinò con cautela alla casa e rimase incantato nel vedere, attraverso le finestre, un grande salone e tanta gente elegante che ballava al ritmo di una musica bellissima e, per lui, sconosciuta. Per paura di essere scoperto, aggirò la casa e si trovò in un frutteto. Lo stomaco del poveretto brontolò. Aveva fame. La luce che usciva dalle finestre, si rifletteva sui frutti di quegli alberi.

Erano dei frutti tondi e colorati e con un buon profumo. Giuanin non li aveva mai visti prima di allora, ma sembravano maturi, e così spinto dalla fame, ne prese alcuni e li mangiò, prima cautamente e poi voracemente. Erano buoni. Gustandoli, fece ritorno alla sua barca e si rimise nel suo giaciglio, coprendosi bene. Nel cielo la luna piena gli dava un po' di sicurezza, ma non conoscendo il luogo dove era finito, si disse che non gli restava che attendere il ritorno delle donne. Dopo un bel po' di tempo, quando Giuanin si era ormai addormentato, sentì la barca dondolare e la voce della donna gridare: - Vai per due... vai per tre -.

La barca si mosse veloce come all'andata e gli parve stavolta di sentire il rumore di zoccoli. Ne fu felice perché pensò che stava risalendo il fiume, tornava a casa. Sulla barca le donne si appoggiarono l'una all'altra senza parlare. Ogni tanto una delle due faceva un risolino o un sospiro.

Quando attraccarono, scesero in fretta e si dileguarono nella notte.

Dopo un po' Giuanin si rese conto di non sentire nemmeno il rumore degli zoccoli e dubitò perfino che ci fosse un carrettiere con i cavalli. Infine, vinto dalla stanchezza e complice il dondolio della barca, si riaddormentò.

Alle prime luci dell'alba si svegliò e già si sentivano le voci dei suoi amici barcaioli che si avvicinavano.

Si alzò allora veloce, e chiamandoli, raccontò agli amici della sua strana avventura notturna. Questi però, cominciarono a ridere e a prenderlo in giro: "Ah! Ah! ma quanto hai bevuto ieri sera Giunin? Non è che ti sei sognato tutto quanto?"

Giunin facendo l'offeso chiuse la bocca e cominciò a caricare la barca.

Forse avevano ragione loro, pensò. Ma messa una mano in tasca per prendere il fazzoletto da naso, si illuminò sorpreso: in mano stringeva due noccioli dei frutti strani che aveva gustato quella notte.

Sorridendo fra sé, li ripose nella tasca. Quella sera stessa li avrebbe piantati nell'angolo di terra dietro la sua umile casetta in riva all'Adige. Fu così che nacquero le prime piante di pesco in quel luogo e i frutti, che con il tempo cominciarono a produrre, piacquero così tanto che tutti ne vollero avere.

Da allora le pesche sono diventate il frutto preferito coltivato in quel paese tanto da dargli il suo nome: Pescantina. E se avete occasione di passare di là potete ancora vedere sullo stemma una donna con i piedi nell'acqua. Che sia una delle due donne scesa dal battello del Giuanin?

Ecco, ogni volta che racconto ai miei nipoti questa storia, anche loro ridono, soprattutto nel momento in cui grido "vai per due.. vai per tre" e loro mi chiedono che cosa significa. Ma anch'io non lo so, mentre so che le pesche sono arrivate a Pescantina molto molto prima, forse già nel 1600 grazie all'acqua dell'Adige e agli impianti di irrigazione.

Ma questa è un'altra storia.