Beatrice Romagna

Dalla parte di chi una vista non ce l'ha


L'invisibilità puoi far finta di non vederla, ma esiste e ha un nome. Il mondo si sta facendo baluardo delle lotte contro la discriminazione, ma, ahimè, chi è disabile rimane nella cornice di quella battaglia, totalmente dimenticato.

Io, persona cieca, mi sono sempre sentita invisibile. Oltre ad aver vissuto tutta la vita nel buio, scivolo silenziosa tra la gente senza essere mai notata. Un tempo mi detestavo vedendomi come lo spettro di Canterville, ma adesso, preferisco considerarmi come del preziosissimo velluto che ondeggia. La condanna peggiore per me è la pietà altrui. Perché gli altri non ti vedranno mai come una persona normale con nome e cognome. Ti spoglieranno di tutto fino a che solo la tua disabilità rimane.

Ma la cecità ha anche un vantaggio: non puoi essere ingannata dall'esteriorità.

Ho contato quattro tipi di persone che mi piace comparare ai regali che ricevi a Natale. Ci sono i presenti più brutti all'interno delle confezioni più obbrobriose. Poi ci sono i profumi più costosi impacchettati in vere e proprie opere d'arte e sono quelli più rari. Dopo ci sono i calzini contenuti nelle scatole più decorate possibili e, incredibilmente, sono quelli che vanno più a ruba. E infine ci sono quelli che vengono sempre scartati, come i meravigliosi mazzi di rose nelle confezioni meno attraenti. Ciò che permette la mancanza della vista è vedere direttamente il contenuto, non l'involucro. 

E accadde proprio questo quando incontrai la persona che mi salvò dalla grigia monotonia.

Una mattina di una solita giornata di scuola un ragazzo mi urtò.

Io non ho mai visto i colori, ma riesco a immaginarli. Questo è il grande talento dell'essere umano, quello di immaginare ciò che non c'è, di rendere materiale ciò che è astratto. E quando lui parlò, vidi.

Nel momento in cui perdi un senso, gli altri si acuiscono, perciò percepii ogni sfumatura della sua voce, che viaggiava tra i do e i re. E soprattutto esprimeva calore. E dato che il calore è rosso, io vidi rosso, qualunque cosa esso sia.

«Scusa, non volevo. Non guardavo dove camminavo» si scusò.

«No, no. Tranquillo» lo rassicurai.

Mi aiutò a raccogliere il bastone. Per recuperare l'oggetto di mia proprietà dovetti tastare e finii col sfiorare le sue mani. Le ritrasse subito, riuscivo a sentire il suo imbarazzo mentre sgattaiolava. Potevo percepirli, i suoi pensieri. “Ecco il risultato di oggi, ho sbattuto contro una cieca”. Eppure c'era qualche cosa che mi attraeva in lui, come se in tasca avesse una calamita. Io, che di solito scappo prima che qualcuno possa anche solo notarmi, quella volta fermai il mio interlocutore e gli chiesi il suo nome.

«Raffaele. Tu?». Non mi aspettavo una risposta. In effetti, avevo paura che fosse scappato prima che avessi potuto parlargli, o peggio, che le mie, fossero parole al vento.

«Anita».

Porsi una mano davanti a me. Dopo qualche secondo lui la strinse. Doveva essere un ragazzone imponente, la sua voce proveniva da qualche parte più in alto di me e aveva le mani grandi. Eppure, la sua stretta era tenera. Se fosse la sua solita stretta o se magari avesse paura di rompermi, per me rimase un mistero.

Nei giorni seguenti non lo rividi. Io non avrei mai saputo come cercarlo e lui forse voleva evitarmi. Ma il destino agì di nuovo e ancora ci incontrammo. Lo salutai con genuina solarità e lui rispose con goffaggine. Ci imbattemmo una terza volta ma solo alla quarta fu lui a chiamarmi e da lì in poi ci salutammo tutti i giorni.

Ben presto lui divenne il mio primo amico e la prima persona che mi fece sentire di esistere. E molto presto scoprii che anche lui aveva la sua palla al piede. Percependo solo la sua enorme gentilezza, io me lo immaginavo il ragazzo più bello del mondo. E invece il suo corpo non faceva onore alla sua anima. E le persone lo lasciavano in disparte per quello. Oh, ma quale girone dell'inferno è dedicato a chi osa far appassire un mazzo di fiori così bello, così puro?

Lui era malato di una delle malattie peggiori di questo mondo, una che attacca lo spirito e non il corpo, quella che ti porta ad essere il fantasma di una persona: la depressione.

E chi avrebbe mai pensato che sarebbe finita così? Lui che avevo creduto fosse il principe azzurro era invece il generale salvato da me medesima, la Mulan della storia. E perciò feci tutto il possibile per salvarlo. Gli insegnai a non osservare con gli occhi ma con il cuore e gli spiegai che le persone in genere hanno la vista annebbiata dalle cose più futili. Gli insegnai a vedere come vedevo io.

E finii molto spesso a pensare al nostro primo incontro e finalmente credetti al destino. Mi domandai molto spesso chi o che cosa mi avesse portato a conoscerlo. E come fosse stato possibile che una come me, sempre in fuga, lo avesse cercato e avesse tentato di spingerlo a sé. E mi domandai anche come fosse possibile che lui, con tutta la timidezza e diffidenza del mondo, avesse ceduto e si fosse aperto con me. E l'unica risposta che mi sono potuta dare era che i lembi di un sottilissimo filo rosso si fossero legati alle nostra dita unendoci e tirandoci vicini.

E per una volta, posso dire di essere stata fortunata, di essere l'oggetto della benevolenza delle Parche, che loro per una volta, hanno deciso di non tagliare il filo.