Alberta Oliva
Asrevid
Sono una Pilot G-2 07 blu che si diverte a sanguinare inchiostro su una pagina dell’agenda facendo ghirigori tra le parole scritte? Guardo le mie dita che impugnano la penna mentre sono impegnata in lettere e disegni futuristici così tanto scomposti e vorticosamente slegati che neanche io ne conosco la giusta chiave di lettura.
Però mi piacerebbe essere una penna: lei può scrivere tutto, dipende dalle mani in cui si trova. Può firmare un contratto, svolgere una verifica di Arte o scrivere un racconto. La scrittura è il mezzo di trasporto dei miei pensieri disordinati alla realtà e mi permette di viaggiare nei luoghi delle mie emozioni.
Forse non sono una diciottenne così normale, non so quante persone, guardando il proprio pollice macchiato d’inchiostro, si sentano loro stessi una penna. Continuo a osservare il mio polpastrello che, sporco di colore, sembra la pianta intricata di una città dalle vie concentriche con l’indicazione digitale di come venirmi a trovare.
I posti vicino a me sul treno sono occupati dai miei pensieri, compagni rumorosi che non mi lasciano perdere nel paesaggio che muta fuori dal finestrino e si tinge delle sfumature del mio umore, un po’ come se io fossi la tavolozza con i colori. Quel vetro spesso che mi separa dalla realtà funziona un po’ come uno specchio. Vedo il panorama che scorre disordinato. Oggi mi sento confusa.
Non riesco a focalizzare lo sguardo. Il treno va troppo veloce o sono i miei pensieri ad esserlo? Almeno potrebbero avere la gentilezza di rimanere educatamente seduti ai loro posti!
“Ada non devi pensarci! Ada non devi pensarci!” ripeto a bassa voce come un disco rotto o come un’attrice che deve cercare di imparare le battute a memoria per calarsi nella parte del personaggio. Giocherello con la mia penna a gel passandola da una mano all’altra.
Ho una teoria: più ti aspetti una cosa, più questa non arriverà o ti deluderà. Il messaggio che vorrei ricevere arriverà probabilmente solo quando tirerò il freno di emergenza ai miei pensieri.
Perché non mi aveva risposto? Perché, dopo la bella serata, almeno per me, lui mi sembrava distaccato? Avevo sbagliato qualcosa? Prendo il telefono che ho nella borsa e lo sblocco.
“Mi sono divertita ieri, tu che cosa ne pensi?” il mio messaggio sta ancora aspettando lì, alla stazione, con le spunte grigie.
Con la mia amata penna blu coloro le due piccole spunte sul display. Che bella illusione! Ci passo poi il dito sopra per togliere l’inchiostro.
Ma può essere che il colore sia magicamente trapassato nei cristallini del cellulare e che le spunte siano diventate veramente blu?
Esco da Whatsapp, in questo vagone manca l’aria e i miei pensieri non hanno lo spazio di muoversi nella valigia che mi porto sopra il collo. C’è chi ha una mela al posto della testa, come nei quadri di Magritte, ecco io ho invece una valigia pesante che contiene piegate, come magliette, le mie emozioni.
Il treno sta rallentando.
“Mi sono trovato bene però sei diversa” è arrivato nel mio scompartimento questo messaggio come un passeggero che respira in modo affannoso con le narici che si muovono al ritmo delle scosse del treno.
Non capisco. Non mi aspettavo questa risposta. In che senso mi ha trovato diversa? Abbiamo parlato di quello che ci piace fare! Diversa forse perché scrivo? Del resto il mio sangue è formato da una parte corpuscolata di inchiostro blu, non potrei fare diversamente. Il treno si ferma e cerco, infastidita, di far scendere i dubbi dal vagone.
Non so cosa rispondere. Strano. Forse ho finito l’inchiostro? Mi sento come una penna un po’ scarica, come lo scompartimento che si sta ora svuotando.
Riguardo fuori dal finestrino: le persone si salutano con abbracci sciolti nel colore e fusi nell’affetto. Persone che vanno e che vengono, tutto scomposto come in un perfetto quadro futurista.
Il “sei diversa” si è nel frattempo accomodato nel posto lasciato libero da un pensiero appena sceso. Continuo a guardare fuori e dal riflesso del vetro noto che il nuovo passeggero mi osserva.
Il treno sta per ripartire. Le persone abbracciate si fondono davanti a me con pennellate rapide. Se un pittore dipinge è perché sente l’esigenza di rappresentare quello che vede con gli occhi del cuore; io invece non so usare quel pennello, ho bisogno di una penna. In un quadro vedi quello che hai l’esigenza di vedere, come in un Boccioni, puoi vedere tutto, puoi vedere nulla, come solo una parte e sotto varie angolazioni. Io invece affronto le cose di petto e la locomotiva di Boccioni ora la vedo frontale.
“Non volevo offenderti ma la penso così” sta cercando il suo posto nel vagone un nuovo messaggio.
Riprendo la mia penna: io e lei stiamo facendo insieme questo viaggio. Inizio a tracciare linee blu nell’aria con un inchiostro che solo gli occhi del mio cuore possono vedere: linee vorticose di un panorama dinamico che cambia velocemente fuori dal finestrino.
La penna mi aiuta nel viaggio verso la serenità e mi permette di metabolizzare l’emozione che arriva facendomi vedere le cose da più punti di vista, perché il quadro della mia vita è una scomposizione di una moltiplicazione di punti.
“Non ti sarai mica offesa?”.
“Sei diversa è un dato di fatto” entra nel vagone, a manina, questa coppia di nuovi messaggi, lui presuntuoso all’apparenza, lei gelosissima che fulmina tutti con lo sguardo. I due fidanzati si siedono di fretta sui primi posti della carrozza.
Stacco la penna che sta ancora scrivendo nell’aria. Mi stanno guardando tutti: forse tracciare linee in aria è una cosa diversa. Diversa perché mi lascio guidare dall’inchiostro, perché il viaggio che oggi ho intrapreso non va a carburante ma a inchiostro emotivo. E’ lui a darmi il microfono per dire quello che sento.
Diversa da chi? Da che cosa? Sentirmi diversa o essere definita tale non sono la stessa cosa. Non esistono due cose uguali. Tra le due ci sarà sempre una che preferisci. Diversa è una parola che da sola non vuol dire niente e che mi ha sempre dato ai nervi. Si usa a sproposito, perché poi neanche due gemelli omozigoti sono uguali. La vita è diversa, non nascono due margherite uguali, magari per noi lo sono, ma solo perché le guardiamo in modo superficiale e non ci sforziamo di notare le differenze. Io non sono diversa perché la diversità non esiste, esiste solo l’unicità che è ciò che ci rende speciali.
Un “?” cerca di farsi spazio. E’ un passeggero che non ha pagato il biglietto e che ti fa perdere la voglia di viaggiare nella chat.
“Sei diversa, guarda che è una cosa bella! Puoi rispondere?” sale alla fermata, di corsa, un nuovo messaggio.
Guardo fuori dal finestrino e comincio a vedere le cose da un altro punto di vista. Forse sono stata troppo precipitosa nelle mie conclusioni? Non si trattava di un difetto, era in realtà un complimento.
Questa parola “diversa” era stata come il bambino seduto dietro che ti calcia il sedile tutto il viaggio, forse perché io stessa non ero mai riuscita a comprendere veramente questa parola. Il treno ora è silenzioso. Questo viaggio mi ha alleggerita e resa più consapevole.
Strappo dall’ agenda una pagina e ci scrivo sopra una frase. Rimetto tutto nella borsa per scendere dal treno. Sono arrivata. Mi alzo ma quel bigliettino resta lì. Sul sedile rosso spicca un pezzo di carta bianca con scritto “Mi auguro che con questo viaggio tu possa capire quanto sia importante essere asrevid. Firmato Ada, che se letto al contrario resta Ada”.
Diversa, quella parola che mi aveva inizialmente turbata, letta al contrario diventa “asrevid” e prende un altro significato.
“Asrevid” è un nuovo termine e indica quanto l’unicità sia l’inchiostro per scrivere il viaggio della nostra storia.
Grazie passeggeri per avermi fatto vedere le cose da un’altra prospettiva.
Riprendo il cellulare e a quel messaggio, che aveva fatto partire la locomotiva delle mie riflessioni, rispondo sorridendo: “Io sono asrevid”.
Saluto il treno 6943.