Giorgia Sensi
Con me per sempre
Io e Alice eravamo sempre state migliori amiche fin dai tempi della scuola dell’infanzia. Con lei avevo condiviso gli anni spensierati della fanciullezza e poi dell’adolescenza. Mai un litigio, mai uno screzio tra di noi; chi aveva avuto modo di conoscerci non poteva che giungere alla conclusione che noi due eravamo sempre vissute in simbiosi, ma ciò non significava che una si annullava per compiacere l’altra. Semplicemente eravamo l’una l’esatta metà dell’altra. Avevamo gli stessi interessi, lo stesso amore per gli animali, la stessa passione per il nostro sport preferito: il tennis. Volevamo diventare grandi insieme, viaggiare per il mondo, scoprire luoghi misteriosi e suggestivi, facendo tesoro delle esperienze che avremmo condiviso negli anni. Ma come in ogni grande storia che si racconti c’è sempre un “ma “ e quel “ma “ che eravamo destinate ad affrontare, ci avrebbe sconvolto la vita. Con il conseguimento della maturità scolastica a diciannove anni ottenemmo, dalle nostre famiglie, il consenso di festeggiarla organizzando un viaggio a Parigi. Partimmo il 10 Agosto del 2002 con un bagaglio ridotto ai minimi termini per contenere le spese di viaggio, ma con il cuore stracolmo di entusiasmo. Sarebbe stato il primo di tantissimi viaggi in giro per il mondo. Nella capitale francese alloggiavamo in piccolo alberghetto situato dietro all’ Opera. Le nostre prime mete furono l’Arc de Triomphe per godere, dalla sua terrazza, un panorama unico sugli Champs Elysées; la Tour Eiffel, il Museo del Louvre custode di molte delle più grandi opere d’ arte come la “Gioconda“ del nostro Leonardo da Vinci, visitammo anche la Conciergerie, la prigione dove fu rinchiusa Maria Antonietta fino alla sua esecuzione in Place de la Concorde. Di giorno pranzavamo a sacco e alla sera cenavamo nei localini tipici francesi. Quando andammo ai magazzini Lafayette, Alice era come una bambina che aveva scoperto il barattolo della cioccolata; ovviamente non ci potevamo permettere nulla di quei capi alla moda così costosi, ma con gli occhi potevamo godere della loro vista. Una sera ci dirigemmo a Montmartre, il quartiere degli artisti: molti pittori esponevano le loro opere, giovani francesi si esibivano nelle loro performance acrobatiche sui pattini a rotelle, il tutto immerso in quell’ atmosfera tipica dell’arte di strada. Tutto filava nei migliori dei modi; ci stavamo divertendo come non mai ma di lì a poco avremmo posto fine alla nostra felicità. Non so se è mai capitato anche a voi di decidere qualcosa e chiedervi se fosse meglio una scelta diversa, un po’ come quando ci si trova ad un bivio, si sceglie e poi automaticamente ti assale il dubbio che forse quella non è l’opzione migliore. La nostra “scelta“ fu rappresentata dal cambio di programma il 14 Agosto, quando, variammo la scaletta che prevedeva la visita alla Cattedrale di Notre-Dame e decidemmo di acquistare il biglietto del treno per la Reggia di Versailles. Il treno era in orario e ci impiegammo circa mezz’ ora. Una volta giunte a destinazione seguimmo la guida mentre ci illustrava la struttura del palazzo. Rimanemmo incantate attraversando la galleria degli specchi, il salone della Pace e il salone della Guerra. Fummo poi invitate a godere della vista dei giardini della Reggia per poi ammirare il Grand e il Petit Trianon. Di quel giorno ricordo ancora i raggi di sole che in modo lieve filtravano tra i rami degli alberi dei giardini reali, scaldando il nostro viso e rendendolo ancora più luminoso. Alle 17.00 salimmo sul treno che ci avrebbe riportato a Parigi, ma alla capitale quel treno non arrivò mai. Dopo circa quindici minuti io e Alice sentimmo la sirena del convoglio suonare insistentemente per dieci interminabili secondi. Ad essa si aggiunse il forte stridio dei freni a cui fecero seguito le urla dei passeggeri. Poi fu il buio! Alice si aggrappò a me così forte che quasi non riuscivo a respirare. Eravamo terrorizzate e in un momento venimmo separate con così tanta violenza che sembravamo come rami di una pianta spezzati dal forte vento. Di quel tragico momento sono i soli ricordi che mi sono rimasti. Mi svegliai una mattina di settembre in un letto d’ ospedale francese, ero attaccata a un sacco di fili, e a fianco del mio letto, con gli occhi socchiusi, riuscii a scorgere mia madre. Stava rannicchiata su una poltroncina, avvolta in un plaid scozzese. Con voce flebile la chiamai ma non si svegliò. Mi resi conto in, quel momento di quanto fossi debole il mio richiamo e fu allora che fui assalita dal panico: temevo di non essere udita; ma quel sentimento d’ angoscia scomparve nell’ attimo in cui mia madre volse a me lo sguardo e fu testimone del mio risveglio. Ero rimasta sedata farmacologicamente per tutto quel tempo e ora ero affamata di informazioni. La mia mente aveva cancellato i tragici eventi di quel 14 Agosto; ci volle qualche momento perché la mia mente recuperasse i ricordi di quei momenti e sempre con voce debole chiesi di Alice. Dove si trovava? Era ferita? Ebbi la risposta in un secondo, quando i miei occhi incrociarono quelli di mia madre e li vidi lacrimare copiosamente. Alice non era sopravvissuta all’ incidente ferroviario causato dal guasto di uno scambiatore dei binari. Un nodo alla gola mi bloccava il respiro. Avrei voluto morire anch’ io in quel momento, ma il destino mi aveva tenuta in vita e solo qualche giorno dopo ne compresi il motivo. Il medico che aveva vigilato sul mio decorso post-operatorio mi spiegò che mi ero salvata solo grazie ad un trapianto di cuore. Non so spiegare cosa mi spinse, in quell’ istante, a rivolgere la fatidica domanda al dottore: a chi apparteneva quel cuore che ora batteva nel mio petto. Feci quella domanda con la consapevole quanto misteriosa certezza che la donatrice era la mia dolce amica Alice. Quando finalmente potei ritornare in Italia la prima tappa fu al cimitero per, lasciare sulla sua tomba un mazzo di tulipani, i suoi fiori preferiti. Ancora oggi non so chi mi abbia dato la forza di incontrare la mamma di Alice quello stesso giorno; amo pensare che sia stata Alice stessa ad infondermi così tanta forza. Roberta, la sua mamma, sembrava invecchiata di dieci anni. Quando mi aprì rimase per un breve momento impietrita, poi, allungò le braccia per stringermi al suo petto. Sentivo le sue calde lacrime bagnare le mie spalle. Mi fece accomodare su quel divano su cui tante volte io e Ali ci eravamo sdraiate per guardare la Tv o per scambiarci pettegolezzi. Roberta aveva preparato del the, poi si era diretta in camera di Alice e ne era ritornata con un diario che mi porse aperto alla data del 09 Agosto, il giorno prima della nostra partenza e mi pregò di leggere quanto aveva scritto quel giorno: “Sono al settimo cielo. Finalmente domani io ed Emma partiamo per Parigi; è il nostro primo viaggio. Ce ne saranno sicuramente altri ma questo non lo scorderemo mai perché è la nostra prima esperienza importante. Mi sento fortunata ad avere un’amica come Emma; per lei sarei pronta a dare la vita perché so che lo stesso farebbe lei per me!”. Roberta mi raccontò con la voce spezzata dalle lacrime che il giorno dell’incidente, quando i Carabinieri suonarono alla sua porta per informarla della morte di Alice, lei corse in camera per cercarla ed abbracciarla ancora; ma Ali non era lì, c’era solo il suo diario sul letto e quando lesse quell’ ultima pagina, sapendo che io ero in fin di vita e avevo bisogno di un cuore, decise di mettersi in contatto con l’ ospedale in cui ero ricoverata . Supplicò i medici di infrangere ogni protocollo che regola i trapianti di organi per dare un senso alla morte di sua figlia. Fu così che io ricevetti il cuore di Alice. Ora non sono più la sua dolce metà. Ora sono un tutt’ uno con Ali. Lei è sempre con me, ovunque io sia, lei è con me. Ora sono in viaggio verso la vita, ma non sono sola perché Alice vive in me e le ho promesso che la renderò fiera ogni giorno del dono che mi ha fatto.