Monica Comparato

L'astronauta


Al quasi svenne quando l’astronave bucò l’atmosfera come un proiettile. Mille spie blu dalla luce pulsante gli danzarono davanti agli occhi, così tante e così assillanti che dovette fare uno sforzo per rimanere cosciente e metterle tutte a tacere. Niente che non fosse previsto, però: il lancio era stato un successo. Si affrettò ad impostare la rotta, mentre seguiva gli esercizi di respirazione che aveva imparato in addestramento, e iniziò la procedura per sganciarsi dall’orbita. 

Ci mise qualche istante a realizzare che era nello spazio. La sensazione di pericolo gliel’aveva quasi fatto dimenticare. Per un attimo l’emozione gli esplose nel petto: lui, Al, in missione spaziale! Dopo tutti i sacrifici che aveva fatto per essere proprio lui l’eroe che ci sarebbe andato! Pochi istanti dopo, però, l’eccitazione venne soffocata dalla paura. L’astronave era probabilmente l’oggetto più sicuro mai costruito, tanto che la sua sola progettazione aveva richiesto anni di ricerca, ma ciò non la rendeva meno simile a una scatoletta di latta lanciata nel vuoto cosmico, ora che ci era dentro. Decise di accendere le telecamere esterne, come a sincerarsi che non fosse solo un’esercitazione… poco dopo, l’immagine di una nebulosa viola e arancione campeggiava placida sugli schermi della cabina di pilotaggio. Al sorrise: era bellissima. Sì, era fortunato ad essere lì.


Il suo obiettivo era il pianeta ky-902, dove la vita era ancora onnipresente, a differenza di quella che sopravviveva a stento a casa sua. Ricordava con tristezza tutti gli amici che aveva visto morire per problemi respiratori. I gas e le polveri nell’aria erano diventati insopportabili, e ormai erano stati dichiarati la principale causa di morte quasi dovunque. Anche sforzandosi non riusciva a farsi venire in mente quand’era stata l’ultima volta che aveva visto un fiore selvatico, né tantomeno l’ultimo animale che aveva visto prosperare in natura. Sperava, come tutti, che ky-902 fosse la soluzione. Una nuova casa, con alberi ancora fitti di fronde e mari dalle acque cristalline e incontaminate, spiagge candide e cieli ancora pieni di sole…


Dopo qualche giorno dalla partenza, arrivò la prima comunicazione dal vivo da terra. Il computer non era abbastanza potente da trasmettere in tempo reale sia il filmato che il sonoro, così sia lui che il suo interlocutore, lo scienziato capo del progetto KY, dovettero accontentarsi di sentire le rispettive voci uscire distorte dagli altoparlanti. 

«Non ho un granché da raccontarvi come primo rapporto. Va tutto bene, le provviste si esauriscono nei tempi previsti, la velocità è costante… la strumentazione non ha nessun problema»

«Ci sono delle nuove istruzioni»

Al fissò confuso l’altoparlante. Non si aspettava una frase così diretta. Anzi, no, non era solo diretta: sembrava che lo scienziato non avesse ascoltato una sola parola, prima di interromperlo. E poi cosa poteva esserci di nuovo in una missione organizzata così minuziosamente?

«La ascolto».

«C’è un’informazione che non le ho dato. Che non ho dato quasi a nessuno, in realtà, perché per molti sarebbe stata un problema. Dal momento che lei è a circa mezzo anno luce di distanza da qui, non credo che non abbia più la possibilità di rientrare in quel “molti”, non crede?» chiese mellifluo il professore.

Al deglutì.

«Vada avanti».

«L’ho scoperto tre anni fa, controllando i dati inviati da una delle sonde. Si ricorda quella che è sparita?».

«Sì». Il cuore del pilota cominciava a prendere velocità.

«Ecco, proprio quella. L’ho fatta sparire io. Aveva scoperto che il pianeta è abitato»

Per un attimo Al non capì. «Da animali, intende? Forme di vita semplici?»

«No. Voglio dire forme di vita intelligenti. Con città, mezzi di trasporto. Probabilmente anche una lingua e diverse culture».

L’astronauta sbottò. «E le altre cinque sonde? Quelle non si sono accorte di un’altra civiltà?».

La voce dall’altra parte finalmente abbandonò l’atonia, e scoppiò a ridere. «Ma quelle le ho dirottate, sciocco! Ci sono posti ancora disabitati su ky-902, anche se sono pochi. Sono stato molto, molto attento a evitare che le masse non venissero a sapere dell’esistenza di quegli esserini, dopo aver disattivato la prima sonda. Sa quanti moralisti sarebbero spuntati? “No, no, per carità, non uccidiamo gli alieni!” Tutte stronzate. Ci serve una nuova casa e ce la prenderemo. O andrà così, oppure moriremo tutti».

Al dovette riprendere gli esercizi di respirazione per non tempestare il professore di domande… o di insulti. Se quello che diceva era vero, allora glielo stava dicendo perché voleva coinvolgerlo. Ma in che modo? Lui doveva… secondo i piani originali, lui doveva solo vivere sulla superficie del pianeta per qualche tempo, raccogliere campioni e poi aspettare che la prossima missione arrivasse su ky-902 per continuare il lavoro al posto suo e rimandarlo a casa.

«Cosa vuole che faccia?» si rassegnò Al. Poté percepire la soddisfazione dello scienziato nell’istante di silenzio che seguì la sua domanda. 

«Nell’astronave ci sono i tre satelliti-spia che avresti dovuto piazzare. Uno di loro contiene un veleno progettato dal sottoscritto per rendere l’aria tossica a quelle creature, e per diventare innocuo dopo circa tre rotazioni di ky-902. Dovrai rilasciarlo nella loro atmosfera. Non li ucciderà tutti, certo, ma come minimo una buona metà di loro toglierà il disturbo prima del nostro arrivo. Quando arriveranno i coloni, non troveranno un’opposizione consistente a metterli in pericolo»

L’astronauta si riscosse dallo stato di shock in cui era scivolato. «Lo sapremo solo noi due», assicurò il suo superiore. Il dubbio si insinuò nella sua coscienza come un verme in un frutto marcio: e se avesse avuto ragione? Se davvero non sarebbe stato così sbagliato? O morivano gli alieni, oppure morivano loro. Tutti. Senza possibilità di salvezza. «Come sono fatti gli alieni?» si sentì dire Al. «Oh», sbuffò lo scienziato come se Al gli avesse chiesto di dire una frivolezza. «Sono piuttosto brutti. Sono piccoli, tutti spigolosi. Hanno una specie di testa troppo distante dal resto del corpo con troppi buchi e troppi pochi occhi».

Al si immaginò il mostriciattolo che il dottore stava descrivendo. Magari vicino a sé, sì. Chi avrebbe salvato tra i due? La risposta gli balenò davanti agli occhi senza nessuna esitazione. Sospirò. «Non ho scelta?» chiese.

«Se vuoi salvare la tua specie, no» rispose categoricamente l’altro. 


Qualche settimana dopo, l’astronave di Al giunse al pianeta ky-902. Era di una bellezza da togliere il fiato. Quasi del tutto blu per gli oceani che lo avvolgevano, incrostato di nuvole candide e dalle zone emerse grigie e verdi. Al lo guardò affascinato, mentre gioia e tristezza si rincorrevano dentro di lui. Poi portò il suo corpo viscido fino al piano comandi, contò fino a tre, e premette un tentacolo sul tasto che rilasciava il virus letale.