Pierluigi Tamborini
Tutto scorre
18 LUGLIO
Ce l’ho fatta anche stavolta. Gli ultimi metri sono stati un incrocio di maledizioni e sofferenza. Non credevo di riuscire ad arrivare fin qui, ho le gambe che tremano per lo sforzo e al diavolo me e la mia testa dura, che ha scelto questo mese infernale per mettersi in viaggio.
Se fossi una persona con un minimo di cervello adesso mi siederei sotto il primo albero per analizzare con calma la situazione. Uno normale prenderebbe atto dello spaventoso numero di chilometri che mancano alla meta e valuterebbe l’ipotesi, piena di buonsenso, di fare dietrofront. Uno normale appunto. Ma, a quanto pare, qui di normale non c’è nessuno, tantomeno il sottoscritto, e allora si va avanti.
La terra è una pentola che ribolle, ma quassù un vento insperato mi conforta come una carezza sensuale.
Alzo gli occhi al cielo, lì forse qualcuno mi ama.
Davanti a me una carovana di pellegrini noncuranti con lo sguardo in direzione di Santiago.
Spes ultima dea. Figure immobili, scolpite nel ferro, eppure in eterno movimento.
Per chi cammina sulle orme di Giacomo, l’Alto del Perdòn è soltanto una tappa, un luogo da primo bilancio.
Da questa collina di Navarra osservo in lontananza la lunga scia appena percorsa.
Una figuretta vestita di giallo arranca lungo la salita. E’ Joanna, capelli ruggini, tinti con l’hennè, una giovane polacca conosciuta due giorni fa a Pamplona. Io mi diverto a chiamarla la Pazza perché soltanto qualcuno fuori di testa può pensare di partecipare all’Encierro, la corsa dei tori durante la festa di San Firmino.
E sperare di uscirne tutto intero.
Lei è stata salvata da un’incornata all’ultimo secondo, e sbandiera il fatto come una medaglia da appuntarsi sul petto. Lo racconta nel suo inglese scolastico, pronta a riprovarci alla prossima occasione.
Dietro di lei, a un centinaio di metri, riconosco il passo stanco di Ramon, ex impiegato del catasto in pensione. Viene da Salamanca e per lui, che per una vita ha catalogato muri in planimetria, il Cammino è la massima forma di libertà possibile e ora, alla bella età di quasi settant’ anni, ha deciso di affrontarlo.
Li ho conosciuti da pochissimo in un ostello per pellegrini, davanti a un cielo pieno di domande. Ci siamo ritrovati tutti uniti da un’improbabile comunanza, in contemplazione di astri che non volevano saperne di cadere per esaudire piccoli o grandi desideri.
E io? Ho indossato i miei anni e i miei dolori come un vestito usato e ancora oggi mi sto chiedendo che cosa ci faccio qui.
Una domanda che torna puntuale come una cambiale scaduta.
Forse il ricordo di te, che te ne sei andata via senza neppure lasciarmi il tempo di chiederti e chiedermi il perché, forse altre le ragioni, ma devo ancora scoprirle, e chissà mai se riuscirò a farlo.
Stamane mi sono alzato prima di loro, tanto nell’ultimo periodo non riesco a dormire e il concerto dai letti dell’ostello non concilia il sonno, al confronto i rumori di una segheria sono un accettabile compromesso.
Mi sono preso il mio tempo. Per camminare e soprattutto per pensare.
Adesso sono fermo su questa altura sferzata dal vento, guardo la carovana di pellegrini, sempre più indifferenti, e aspetto paziente i miei compagni.
Ci siamo dati appuntamento in vista della sosta per la notte a Puente la Reina.
Un italiano, uno spagnolo e una polacca. Sembriamo usciti da una barzelletta.
E intanto resto qui, avvolto nella brezza benevola, in compagnia della tua assenza.
10 AGOSTO
E’ la notte di San Lorenzo, ma il cielo è una tavola nera. Ecco la verità. Tutte le nubi di Castiglia hanno deciso di radunarsi qui per mettere in chiaro un concetto. Stasera non cadranno stelle, non è tempo di desideri.
Quando siamo arrivati a Leon la città ci ha accolto con un’atmosfera grigia, quasi l’anticipo di un autunno non troppo lontano. In questo periodo io e i miei improvvisati confratelli ci siamo persi e ritrovati più volte, come se ci trovassimo legati da un filo invisibile. E io e Ramon, come due padri benevoli, ci siamo scoperti protettivi nei confronti di Joanna.
Almeno fin quando sulla scena non è comparso Sebastian, giovane ingegnere tedesco, alto e allampanato.
Mi sbaglierò, ma niente mi toglie dalla testa che sia scoccata una scintilla. Una di quelle che ci mettono davvero poco a trasformarsi in un incendio.
La luce che, per un decimo di secondo, è brillata sul volto della ragazza è la stessa scivolata su un viso diverso, in un tempo altrettanto differente. Me lo ricordo bene.
Il vento, fedele viandante del mio cammino, riporta con sé cose passate.
Altri giorni, altri occhi.
No, non mi sbaglio. Anche Ramon se ne è accorto, ed è stata la prova che, a volte, anche se non sempre, i capelli non diventano bianchi per niente.
Spesso, in modo del tutto stupido e irrazionale, coltiviamo la segreta speranza di essere immortali, oppure accarezziamo la certezza che il mondo chiuda i battenti con il nostro passare terreno.
Ma l’amore che rifiorisce è l’ennesima prova che noi non siamo che un battito sotto un cielo determinato a farsi beffe di noi. Adesso è il tempo di questi due ragazzi.
E così li lasciamo lì, soli, a parlare fitto fitto. Secondo me stanno misurando la distanza tra le rispettive case, Berlino e Danzica. Esattamente 500 km, ma che cosa sono di fronte all’amore che non giudica e ai piedi di un pellegrino?
Con Ramon sono rimasto a parlare fino a tardi, bevendo vino e malinconia, poi la stanchezza ha avuto il sopravvento.
5 SETTEMBRE
E’ stata Joanna la prima a vederla, da una collina, tra le brume rossastre dell’alba.
Le guglie della cattedrale di Santiago sembravano due grosse matite che bucavano il cielo. Io ho abbracciato Ramon, lei Sebastian. Non fa altro da un po’ e, devo ammetterlo, insieme sono perfetti.
Spero che la vita sia indulgente nei loro confronti, ma sono fiducioso. E’ gente tosta, non si fanno spaventare nemmeno dall’incornata di un toro.
Più tardi, davanti alla chiesa, lunghi momenti di silenzio. Il senso di una fine.
Abbiamo realizzato che il nostro sodalizio si stava interrompendo. Anche se abbiamo promesso di restare in contatto, anche se Ramon verrà da me, sui colli Berici, a darmi una mano nella vendemmia, sappiamo bene che non sarà più la stessa cosa.
Il mondo è cambiato, gli incontri ci hanno resi diversi. Tutti abbiamo perso qualcosa, e nuovi portoni si sono aperti. I due ragazzi hanno forse trovato l’amore vero, sbucato dal nulla come un viandante inaspettato e Ramon mi ha confessato di sentirsi più libero, adesso che il sogno di una vita si è realizzato.
Il grande verbo è ricominciare.
E io? I compagni di viaggio sono stati discreti. Ho detto loro che sono partito perché il tuo ricordo mi provocava un dolore, qui, all’altezza del cuore, e nelle loro parole è rimasta una domanda inespressa. Sei morta o te ne sei andata con un altro?
Resterà aggrappata ai loro pensieri il tempo necessario a far sì che un nuovo interrogativo venga a bivaccare nel loro presente, poi se ne volerà via.
Tutto scorre.
Un giorno, di fronte a un altro bicchiere di vino, racconterò la tua storia, ma non adesso perché al di là del dolore e dei pensieri c’è un prato in fiore ed è là che ti aspetterò.
Intanto ho deciso, non tornerò subito a casa, andrò a Finisterre. A piedi naturalmente.
Così una volta arrivato a quest’ultima meta mi congederò dal vento che mi ha accompagnato nel cammino. Allora mi resterà soltanto una cosa da fare. No, non brucerò le scarpe che mi hanno portato fin qui.
No, prenderò tutti i miei perché e li butterò nell’oceano.
E poi, finalmente in pace, mi inventerò qualcosa.