Davide Pavan

Amore e famiglia


“E se io ora vedessi, d’improvviso, la luna sparire, il sole marcire, la gente gioire…

Un desio o, forse, più un frammento d’immaginazione, che libero vola e rotea e si alza e strappa quel cielo di carta ed esce, e sparisce, e d’un tratto non è più mio ma è mondo, ed è fuori dal mondo e ormai fuori da me, che sono il mio mondo, e che tristo non volo e non roteo non mi alzo e poi strappo quel cielo di carta…”

Il desiderio è sempre fugace e difficile da fissare, per l’artista mediocre.

Solo dentro la sua stanza, egli strappa il foglio di carta su cui si stava formando quel seme di poesia, o forse di prosa, nemmeno lui lo sa, che forse nelle mani di qualcun altro avrebbe potuto crescere in un albero rigoglioso e ricolmo di rami, di frasi ricche e dense di significati profondi, e frutti che, parole giuste nel punto giusto, ribaltano il significato intero e danno accesso a quel dolce sapore che è la nostra stessa mente.

Ma nelle sue, di mani, lui lo sa, che quel germoglio in potenza non avrebbe fatto altro che rivoltarsi, rigirarsi su se stesso, annodarsi solo per poi, alla fine, soffocare tra le sue stesse membra.

Le mani dell’incompetente, se anche dovessero riuscire a creare qualcosa che potesse crescere in valore con una buona quantità di impegno, finirebbero solamente per rovinare tutto un’altra volta.

E così, solo dentro la sua stanza, il creatore di vergogne si stende sul letto, a ragionare sul suo testo, che ancora non sa se far diventare prosa o poesia, e ragiona sul suo desiderio, quello che cercava di fissare come uno sciocco sulla carta; come uno sciocco, perché il vero desiderio è sempre fugace, e impossibile da fissare.

Immerso nei suoi pensieri, nemmeno si accorge di aver chiuso gli occhi: e così, è solo ad un passo dall’inizio del sogno.


Non è arte, il sogno: è vita.

Non è un quadro, non è poesia o prosa, non è musica o scultura: è fluido, impaziente, fugace.

Fugace come un desiderio, uno di quelli veri, perché è il sogno il reame del desiderio.

Un cielo azzurro, ed un prato verde, questo vede il sognatore.

Desidera il sole ed il suo calore, ed ecco che lì un frammento d’immaginazione gli permette di pensare, ragionare, sentire e vedere ciò che è richiesto.

Sul prato, una casa, e nella casa, una famiglia: la sua.

Un bambino, una madre, moglie, insieme, ridono, giocano insieme sull’erba. Si amano.

La casa è calda, il camino acceso, davanti alla tv dopo cena è ora delle coccole.

È vita, o meglio, desiderio di vita, sogno di vita, forse futuro di un’esistenza imprevedibile.

Lo sguardo alle pareti, e lì si vede: arte, in mille forme, il quadro incompleto e il disegno del figlio, la poesia d’amore dedicata per il matrimonio e il libro sulla famiglia, una foto, di loro tre, circondata da scarabocchi allegri e colorati, istintivi, ed una chitarra ed un basso destinati a suonare unicamente melodie incomplete, ma ricolme di passione.

L’arte, qui, diventa contorno, non più sostanza, diventa accessorio di gioie e passioni esterne e preesistenti: intensifica, non crea.

Il desiderio, qui, è sempre fugace, ma puro e libero, e viaggia lontano dalle costrizioni della mente, dai confini della ragione e dai limiti imposti da ciò che quotidianamente si crede di volere.

Il vero desiderio è svelato, nel sogno.


Al risveglio, è una nuova mente quella che pensa all’arte.

L’artista mediocre ora gode della sua incapacità di fissare il desiderio, poiché è nella natura stessa del vero desiderio l’impossibilità di essere fissato: ed in questo, egli è molto più bravo di qualsiasi artista esperto.

Il viaggiatore di sogni abbandona i fogli di carta, li lascia liberi, e lascia che sia la penna a volare tra loro: fugace, come un desiderio, inchiostra le pagine non di parole, ma di segni, tracce incomprensibili che assumono un significato per un istante, rivelatorio, subito prima che il disegno continui e li riporti ad essere, semplicemente, segni di penna nera su un foglio di carta bianco. 

A volte ne escono parole, a volte no: all’artista ormai vero non importa, perché ormai gli è chiara la vera natura del suo desiderio. Non l’arte, ma ben altro.

L’uomo illuminato si alza, e apre la porta.

Ed ora il segno sul foglio è colorato, perché a suo figlio piacciono i colori, il foglio ora è di entrambi.

E di sottofondo una musica, dolce melodia di una chitarra ormai ferma da tempo, contributo di una moglie, di un’amore risvelato, a quella scena d’affetto famigliare.

Il desiderio è svelato, e si appresta a cambiare ancora una volta.